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Chianti? Sì, ma l’originale

Un caso di ‘Chianti sounding’ istituzionalizzato in epoca fascista ha di fatto inflazionato la denominazione, nascondendo il vero nettare tra centinaia di vini completamente differenti, ma con il medesimo nome. La giustificazione: attirare in Patria valuta pregiata e portare la Lira a quota novanta. Ma che ne è del vero Chianti? Esiste ancora?

Il Chianti è una breve catena montuosa (circa 20 km) a cavallo fra le province di Siena, Firenze e Arezzo, che tuttavia non coincide pienamente con l’area conosciuta nel mondo come ‘Chiantishire’.

A creare l’equivoco ha contribuito il prodotto per eccellenza della zona del Chianti: il famoso vino, che gode di protezione come indicazione geografica e che è divenuta un’icona del ‘buon bere’ nel mondo.

Peccato che spesso non si sappia che quello che si beve è molto diverso dal Chianti originale, appannaggio di una piccola zona composta da quattro comuni che, nel 1932, si è vista usurpare la denominazione a beneficio dei produttori delle aree vicine, inclusi, dall’oggi al domani nella denominazione.

Ma vediamo come sono andati i fatti.

Qualche cenno storico sul Chianti

Numerose sono le testimonianze che ricordano la presenza degli Etruschi e dei Romani nella zona del Chianti, Ma è a partire dal Medio Evo che il Chianti comincia ad acquistare quel paesaggio architettonico che ancor oggi lo contraddistingue.

A seguito di aspre guerre tra i signori locali, l’area gode nel tardo Medio Evo di un periodo di pace, che funge da catalizzatore per l’economia agricola della regione. Sono di quel periodo, infatti, la maggior parte delle case coloniche e le sistemazioni poderali, tutt’oggi esistenti. Fu la consacrazione del rapporto che sin dall’epoca etrusca legava la gente del Chianti con la propria terra. Una tra le espressioni di questa simbiosi fu la produzione del vino, già in documenti del 1400 chiamato “Chianti”.

Dai primi articoli medievali del 1398, tuttavia, il Chianti era un vino bianco. Solo nel 1874 si arrivò a definire l’uvaggio del Chianti al quale si sarebbe ispirato, oltre un secolo dopo, il disciplinare del 1984.

Il Gallo nero

Il territorio del Chianti acquistò tuttavia un tale prestigio da indurre, nel 1716, il Granduca di Toscana Cosimo III a tutelarne il nome, fissando in un bando i confini della zona di produzione, ridotta a poco meno dei comuni che vennero compresi nella Provincia del Chianti (con capoluogo a Radda e comprensiva dei 4 Comuni di Castellina, Gaiole, Greve e Radda) ed istituita nella seconda metà dello stesso secolo a seguito della suddivisione del Granducato in Province ad opera di Ferdinando III.

A tutela della produzione del Chianti, il 14 maggio 1924 un gruppo di 33 produttori si riunì a Radda in Chianti per dar vita al Consorzio per la difesa di tale vino e della sua origine. Il simbolo scelto fu il Gallo Nero, emblema che identificava l’antica Lega Militare del Chianti e che era stato riprodotto fra l’altro dal pittore Giorgio Vasari sul soffitto del Salone dei Cinquecento, nel fiorentino Palazzo Vecchio.

Mussolini e l’estensione dell’area di produzione

Fino all’epoca del regime fascista il Chianti era dunque prodotto in 4 comuni situati tra Siena e Firenze e nello specifico: Castellina in Chianti, Gaiole in Chianti, Radda in Chianti e Greve in Chianti.

Durante il regime venne imposto all’Italia uno specifico indirizzo economico-finanziario. Nel 1926 l’attenzione dell’allora ministro Giuseppe Volpi si concentrò infatti sui problemi di svalutazione che avevano afflitto la lira, deprezzandone il valore di circa il 20% rispetto al periodo antecedente al Primo conflitto mondiale.

In quel momento il cambio era di 153 lire per una sterlina e l’obiettivo era il raggiungimento di Quota 90, promosso da Mussolini durante il discorso di Pesaro del 18 agosto 1926.

Da 4 a 11 aree di produzione

Essendo inoltre considerata ridotta la produzione del vino Chianti nel suddetto territorio, Mussolini, influenzato dall’allora ministero dell’Economia Nazionale, emanò un decreto per mezzo del quale venne estesa la zona di produzione del Chianti, in particolare includendo zone di produzione comprese nelle province di Pisa, Arezzo e alcune aree non incluse precedentemente sempre facenti parte delle province di Siena e di Firenze.

Oltre alle quattro zone sopra descritte, venne attribuito l’appellativo di Chianti ai vini ottenuti da uve coltivate in altre 7 aree di produzione e precisamente:

▪ Chianti Colli Aretini,

▪ Chianti Colli Fiorentini,

▪ Chianti Colli Senesi,

▪ Chianti Colline Pisane,

▪ Chianti Montalbano,

▪ Chianti Montespertoli,

▪ Chianti Rufina.

È opportuno specificare che nel testo del decreto ministeriale, su impulso del Consorzio per la difesa del Vino Chianti, per la zona sopradescritta compresa tra i quattro comuni originari, venne introdotto il suffisso ‘Classico’, proprio al fine di distinguere l’originale dagli altri Chianti prodotti fuori da quel territorio.

Il business del Chianti

Il risultato di tale politica comportò tuttavia un’alterazione del prodotto conseguente alla perdita del legame tra prodotto e territorio.

Il decreto ministeriale determinò quindi un decadimento della qualità del prodotto e una devalorizzazione legata a un aumento delle produzioni per ettaro e a conseguenti minori costi di produzione per le nuove aree introdotte.

Nonostante l’estensione a dismisura dell’area del Chianti, gli agricoltori della zona di Montepulciano rifiutarono di aderire a tale estensione, mantenendo un’identità legata alla propria area e difendendo il proprio legame con il territorio, rinunciando di essere fagocitati nel ‘business‘ del Chianti.

Chianti ai giorni nostri

Inizialmente il Chianti Classico non rientrava in una specifica Denominazione, ma era una sottodenominazione della più ampia Denominazione di Origine Controllata (DOC) Chianti ed era riservata esclusivamente ai vini prodotti nella sottozona Classico.

La Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) Chianti è stata autorizzata con DPR 2 luglio 1984 e successive modificazioni. Riferisce a un solo disciplinare che contempla tutte le sottozone di produzione, compresa quindi la zona del Chianti Classico, che tuttavia non è sovrapponibile a quella originaria.

Anche gli uvaggi non risultano più essere gli stessi del ‘vero Chianti’, con il risultato che al consumatore non risulta evidente la differenza tra un Chianti e un Chianti Classico.

Chianti sounding, un’inflazione poco nota

L’inflazione di cui è stata vittima la denominazione danneggia fortemente i produttori delle aree in cui veniva prodotto il Chianti prima dell’estensione dell’area.

La vicenda è sconosciuta ai milioni di consumatori che ogni anno stappano le bottiglie di Chianti, alcune ormai svendute anche nelle catene di distribuzione straniere. Come pure ai turisti che si ammassano nel ‘Chiantishire‘, senza sapere quali realmente siano i confini della piccola zona dove un tempo lontano era prodotto un particolare tipo di vino che, ancora oggi, conserva peculari caratteristiche e che, nei grandi numeri, risultano note e apprezzate soltanto da pochi e abili intenditori.

C’era una volta il Chianti, quello che oggi è un Chianti tra i tanti Chianti.

Tutti i danni del Chianti sounding

La situazione sopra descritta costituisce purtroppo uno stravolgimento del quadro iniziale che era stato creato ante litteram dal Granduca Cosimo III proprio per contrastare ogni possibile abuso commerciale che – evidentemente – si andava perpetrando nel confronti dei 4 vini oggetto del Bando del 1716.

La corsa di Mussolini alla ‘moneta pregiata’ ha di fatto legalizzato un fenomeno di ‘Chianti sounding’ e ha privato i consumatori del piacere di comprendere appieno la vera storia di uno dei vini più noti al mondo.

Un fenomeno commerciale che, tuttavia, ha creato una concorrenza sleale tra i produttori e sperequazioni di non poco conto.

Con danno, oltre che dei produttori maggiormente virtuosi e che hanno mantenuto viva la tradizione nei quattro comuni del ‘vecchio’ Chianti, anche dei consumatori che, con buona pace del portafogli, a 5 o 6 euro bevono oggi un vino che tutto è, tranne Chianti.

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