L’inquinamento da microplastiche nell’acqua potabile – sia di rubinetto, sia imbottigliata – è acclarato. Ed è urgente valutare il rischio per la salute pubblica. L’appello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), nel rapporto Microplastics in Drinking Water.(1)
Microplastiche nell’acqua, ancora pochi studi
Le microplastiche – come è emerso in una serie di ricerche – sono ormai diffuse nelle acque e in atmosfera. Sono così entrate a far parte della nostra dieta, anche attraverso i MOCA (materiali a contatto con gli alimenti). Con un apporto individuale stimato complessivamente in circa 5 grammi la settimana.
Il rapporto OMS/WHO (World Health Organization) sottolinea l’esistenza e attualità di un problema di sicurezza alimentare. legato alla contaminazione delle risorse idriche da particelle di materiali plastici. Evidenziando al contempo la scarsità dei dati scientifici disponibili, che a tutt’oggi non consente di eseguire una valutazione del rischio appropriata, di cui peraltro si segnala l’urgenza.
La revisione sistematica della letteratura scientifica disponibile ha identificato 50 ricerche su presenza e quantità di microplastiche in acqua dolce, acqua potabile e acque reflue. (2) Tali studi non sono tuttavia sufficienti a esaminare il problema nella sua effettiva ampiezza. Tanto più in assenza di standard condivisi per il campionamento e l’analisi dei contaminanti nell’ambiente e negli alimenti. Risulta perciò difficile eseguire comparazioni di rilievo statistico.
Solo nove studi hanno analizzato le microplastiche nell’acqua potabile. Frammenti e fibre sono le forme predominanti, polietilentereftalato e polipropilene i polimeri più frequenti. La concentrazione massima finora rilevata è di 104 particelle per litro, la loro dimensione minima è pari a 1 nanometro.
Microplastiche nell’acqua, quali conseguenze
I potenziali pericoli associati alla contaminazione di acqua potabile con microplastiche sono diversi. Il rischio fisico di accumulo nei tessuti e negli organi, quello chimico che può derivare dalla tossicità delle particelle, quello microbiologico correlato ai batteri.
Il rischio fisico di accumulo di microplastiche nell’organismo viene considerato non preoccupante. In linea puramente teorica, che la stessa OMS sottolinea essere priva di alcun supporto scientifico. Sulla sola base di un’ipotesi, secondo cui le particelle di misura superiori a 150 micrometri potrebbero venire espulse mediante la digestione. Da cui si evincerebbe l’improbabilità del loro assorbimento.
È viceversa noto il rischio di accumulo delle nanoparticelle (di misura inferiore a 0,1 μm, 100 nm) in fegato e reni, attraverso il sistema linfatico e il sangue. Come già emerso in relazione al biossido di titanio, il minerale nanometrico impiegato come colorante alimentare (E171) e componente di cosmetici. Tuttavia, secondo l’OMS, il numero limitato di studi tossicologici condotti sugli animali impedisce di giungere a conclusioni certe. E i danni finora osservati sugli animali a seguito di somministrazione di microplastiche si sono verificati a dosi molto elevate, non comparabili con quelle presenti nell’acqua potabile.
Il rischio chimico è legato alla biodegradazione dei materiali, come pure alla presenza di residui di lavorazione. Nonché a sostanze aggiunte nelle plastiche, notoriamente nocive, come gli ftalati e i ritardanti di fiamma. Anche in questo caso tuttavia, sulla base degli scarni dati disponibili, l’Oms ritiene ‘non preoccupante’ l’attuale esposizione della popolazione alle microplastiche contenute nell’acqua potabile.
Il rischio correlato ai microrganismi che crescono nelle condotte dell’acqua potabile è focalizzato sulle colonie batteriche che formano i c.d. biofilm. Alcuni di essi comprendono infatti microrganismi patogeni, come Pseudomonas aeruginosa, Legionella spp. e Naegleria fowleri. E la plastica è una superficie ideale per il loro attecchimento e crescita. Alcuni studi indicano quindi la possibilità che le microplastiche possano consentire in acqua dolce il trasporto a lunga distanza di agenti patogeni e aumentare il trasferimento di geni resistenti agli antimicrobici tra i microrganismi. Ancora una volta però l’Oms non considera gli studi disponibili idonei ad affermare un effettivo legame tra i rischi derivanti dai biofilm e la microplastica nell’acqua potabile.
Microplastiche, come finiscono nel bicchiere
Le microplastiche sono ubiquitarie, come si è accennato in introduzione. Essendo state rilevate in acque marine e reflue, acqua dolce, cibo, aria e acqua potabile, sia in bottiglia che in conduttura.
Le microplastiche trovate nell’acqua potabile possono provenire dall’erosione delle parti in plastica dei sistemi di trattamento e distribuzione idrica. Per l’acqua minerale imbottigliata, invece, l’Oms indica come possibili fonti le bottiglie e i tappi di confezionamento.
I sistemi di trattamento delle acque sono in teoria un filtro efficace per trattenere i frammenti di plastiche. Gli impianti per le acque reflue dovrebbero rimuovere, in teoria, fino al 90% delle microplastiche. Mentre quelli per le acque potabili dovrebbero trattenere particelle più piccole di un micrometro attraverso processi di coagulazione, flocculazione, sedimentazione / flottazione e filtrazione.
I sistemi più avanzati contemplano l’ultrafiltrazione, capace di rimuovere anche le particelle nanometriche. Ma il 67% della popolazione nei Paesi a basso e medio reddito non ha accesso ai servizi idrici di base e il 20% delle acque reflue domestiche raccolte nelle fognature non viene sottoposto ad almeno un trattamento secondario, sottolinea l’Oms.
Le conclusioni dell’Oms
La presenza di agenti patogeni nell’acqua potabile rimane il rischio più significativo per la salute umana, insieme ai rischi di contaminazioni chimiche. Non è invece raccomandato dall’Oms il monitoraggio di routine delle microplastiche, in quanto non vi sono prove che indichino una preoccupazione per la salute umana.
La prova va comunque ricercata, ammonisce l’Oms. Che invita i ricercatori a intraprendere lavori sui rischi per la salute e studi investigativi per comprendere meglio le fonti e la presenza di microplastiche nell’acqua dolce e nell’acqua potabile, l’efficacia dei diversi processi di trattamento e il potenziale ritorno delle microplastiche nell’ambiente anche attraverso l’applicazione di fanghi nei terreni agricoli.
Poche prove, un solo grave indizio di rischio.
Note
(1) World Health Organization. (2019). Microplastics in drinking-water. ISBN 978-92-4-151619-8, https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/326499/9789241516198-eng.pdf?ua=1
(2) Albert A. Koelmans, Nur Hazimah Mohamed Nor, Enya Hermsen, Merel Kooi, Svenja M. Mintenig, Jennifer De Franced. Microplastics in freshwaters and drinking water: Critical review and assessment of data quality. Water Res. 2019 https://doi.org/10.1016/j.watres.2019.02.054
Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".