Macelli e industrie delle carni non rappresentano di per sé attività a rischio di contagio da Covid-19. Dietro il dilagare dei contagi in Germania vi è piuttosto lo sfruttamento dei lavoratori. Trattati essi stessi come bestie per trainare la locomotiva tedesca, leader in Europa nella produzione di carni. Dumping sociale. La Federazione europea dei sindacati nei settori alimentare, agricolo e turistico (EFFAT) pubblica una relazione, il 25.6.20, ove si analizzano le criticità del comparto in alcuni Paesi europei. (1) Ecco così svelato il vero costo della carne estera e dei prosciutti ‘a buon prezzo’ da cosce di suino ‘UE’.
Un settore ad alta competizione
L’industria della carne in Europa conta quasi un milione di lavoratori, oltre 32.000 aziende, e rappresenta l’1,53% del PIL dell’UE-27. Le feroci condizioni di concorrenza, a livello nazionale oltreché internazionale, inducono molti operatori alla corsa al ribasso su salari e condizioni di lavoro.
‘Il settore delle carni è un’industria frammentata, con capacità in eccesso e di conseguenza sotto la pressione dei costi da parte di clienti più potenti, che hanno accesso al prodotto importato e possono esercitare pressioni sul costo.
I margini sono normalmente bassi e volatili. Nella maggior parte dei paesi, i grandi macelli hanno la maggiore quota di mercato o stanno crescendo rapidamente’ (EFFAT).
Competizione a discapito dei lavoratori
In questo contesto, molte imprese adottano strategie che colpiscono i lavoratori in vari modi. Velocità delle linee in aumento (con implicazioni su salute e sicurezza), accordi di lavoro flessibili, salari all’osso, uso crescente di lavoratori precari. In un contesto occupazionale oltretutto così usurante da generare alti tassi di turnover nella gran parte dei Paesi europei.
‘Identificando gli elementi comuni nei casi di sfruttamento identificati dai nostri affiliati, sorgono i seguenti: insicurezza del lavoro, salari bassi e lunghi orari di lavoro sono spesso la norma per molti operatori della carne’ (EFFAT).
Migrazioni e sfruttamento
Lavoratori transfrontalieri e migranti, da Paesi UE ed extra-UE, rappresentano una larga parte del personale. I lavoratori europei generalmente vengono assunti da intermediari, i quali addebitano loro una tassa di reclutamento più le spese di viaggio per raggiungere il Paese di destinazione.
Gli intermediari possono essere agenzie di lavoro temporaneo, cooperative fasulle, che a volte addirittura inquadrano i lavoratori come autonomi. Non mancano casi di subappalti illegittimi, con società-fantoccio che consentono ai datori di lavoro di sottrarsi alle responsabilità ed eludere pagamenti, versamenti previdenziali e tasse.
Le disparità salariali con i lavoratori assunti direttamente dalle imprese sono quasi sempre significative. E le retribuzioni vengono ulteriormente decurtate dalle trattenute per alloggio, trasporto, persino per gli strumenti di lavoro e i DPI (dispositivi di protezione individuale).
Covid-19, le cause del contagio in alcuni macelli
I focolai di Covid-19 in alcuni macelli e industrie di lavorazione delle carni non hanno niente a che vedere con la presenza di animali. Le cause del contagio vanno invece attribuite ad altre circostanze, che EFFAT identifica in modo specifico.
Le distanze di sicurezza sono sconosciute a molti lavoratori nell’intero corso della giornata:
– in fabbrica si lavora spesso gomito a gomito. Aumentare la distanza significa rallentare il ritmo produttivo, e non tutte le imprese sono disposte a farlo,
– gli alloggi dei lavoratori migranti e transfrontalieri, spesso forniti assieme all’ingaggio, sono sovraffollati con più persone sistemate nelle stesse stanze,
– i mezzi di trasporto per raggiungere il posto di lavoro sono collettivi. Oltre ai mezzi pubblici viene largamente usato il trasporto collettivo organizzato dai datori di lavoro.
Il precariato e la necessità di guadagnare, in mancanza di tutela in caso di malattia o indennità troppo bassa, può indurre alcuni lavoratori a nascondere i sintomi di contagio, per paura di perdere il lavoro. Altri fattori di rischio attengono alle caratteristiche degli stabilimenti e alla gestione dell’emergenza Covid-19:
– scarsa ventilazione, tipica degli stabilimenti più vecchi, aumenta in misura significativa la diffusione del virus,
– carenza di DPI (mascherine e respiratori), istruzioni d’uso non sempre disponibili nelle lingue dei lavoratori stranieri,
– mancanza di ispezioni. In molti Paesi la frequenza di controlli degli ispettori del lavoro, oltreché dei veterinari pubblici, è diminuita sensibilmente durante la pandemia. Ciò ha favorito violazioni della legge e delle misure precauzionali anti contagio.
Dove la prevenzione funziona
I Paesi che hanno introdotto – e verificato l’effettiva applicazione – di misure precauzionali a salvaguardia della salute e sicurezza dei lavoratori, viceversa, hanno registrato pochi o nessun focolaio di contagio.
Le misure, prescritte dai governi e/o dalle rappresentanze sociali (es. EFFAT e FoodDrinkEurope), contemplano:
- informazione sui rischi legati al virus,
- monitoraggio della temperatura all’ingresso delle strutture,
- precauzioni igieniche ad hoc,
- scaglionamento dei turni di lavoro per garantire il distanziamento,
- uso di dispositivi di protezione e revisione delle postazioni di lavoro.
Per approfondimenti, si veda l’ebook gratuito ‘Covid-19, abc. Volume II – Società’.
Il costo sociale delle carni nei vari Paesi d’Europa
Dumping sociale e sanitario, concorrenza sleale. Questa è la ricetta della gran parte dei mattatoi e delle industrie di lavorazione delle carni in Europa continentale. La fitta rete dei sindacati dei lavoratori della filiera alimentare ha consentito a EFFAT di offrire una panoramica sulla contrattualistica e le condizioni dei lavoratori in diversi Stati europei.
La Germania ha strappato agli altri Paesi ampie fette di mercato. Affermando un modello di concorrenza sleale che è stato seguito anche in altri Paesi, l’Olanda in primis, a spese dei lavoratori e della sicurezza alimentare. Proprio le carni suine tedesche e olandesi hanno fomentato un’epidemia di epatite E che ha messo in crisi il sistema sanitario britannico per oltre 6 anni, con una media di 150-200 mila contagi l’anno.
Germania, campione di abusi (e di contagi)
La Germania è campione di contagi tra i lavoratori nel settore delle carni. Il focolaio più esteso riguarda il più grande macello d’Europa a Rheda-Wiedenbrueck (Renania settentrionale-Vestfalia). Dei 7.000 lavoratori, oltre 1.550 sono risultati positivi per Covid-19. La gravità della situazione ha fatto scattare un nuovo lockdown nelle aree circostanti. EFFAT segnala ‘solo alcuni dei casi più rilevanti’, negli stabilimenti di Westfleisch (151 positivi su 200 addetti), di Bad Bramstedt (109 positivi), del distretto di Segeberg (109 casi) e in un mattatoio di Birkenfeld (200 lavoratori rumeni contagiati).
Gli abusi si basano sul subappalto, che taglia i costi del lavoro e permette alle industrie delle carni di sottrarsi a responsabilità per la violazione dei diritti dei lavoratori. Livelli salariali minimi, contributi previdenziali e altre garanzie in fumo. Così avanza la locomotiva germanica, che negli ultimi anni ha messo in crisi le industrie concorrenti e causato la perdita di migliaia di posti di lavoro nei Paesi vicini (Danimarca, Francia, Paesi Bassi e Belgio):
– il 27% dei lavoratori attivi in Germania nel settore delle carni (30 su 110 mila) è impiegato tramite subappalti. Si tratta principalmente, guarda caso, di lavoratori migranti e transfrontalieri provenienti dai paesi dell’Europa centrale e orientale.
– l’80-90% della forza lavoro totale dei grandi gruppi industriali (es. Danish Crown, Tonnies, Westfleisch, Vion) è impiegata con questa modalità.
Il subappalto alla tedesca
Il subappalto in Germania ha conosciuto due fasi. Fino al 2015 i subappaltatori avevano sempre sede nei Paesi nell’Europa centrale e orientale. I lavoratori erano ‘distaccati’ in Germania ma erano soggetti ai compensi e le tutele stabiliti nei loro Paesi di origine (!). Due riforme hanno poi mitigato queste fenomeno, senza tuttavia arrestarlo.
‘I bassi salari e le condizioni lavorative di sfruttamento andavano di pari passo con le pratiche dei gangster e la mancanza di copertura previdenziale (compresi disoccupazione, prestazioni di malattia e pensioni)’.
Tuttora almeno 5.000 lavoratori nella filiera tedesca delle carni provengono da aziende con sede nei Paesi dell’Europa centrale e orientale, secondo quanto riferiscono i sindacati.
‘Nessun vero miglioramento è stato fatto. Il sistema di subappalto si applica ancora. I lavoratori impiegati dai subappaltatori lavorano generalmente tra le 48 e le 65 ore settimanali, mentre i lavoratori delle carni impiegati direttamente dalle aziende lavorano normalmente circa 40 ore settimanali e al massimo fino a 48 ore’.
La giornata lavorativa per un ‘subappaltato’ può durare fino a 16 ore, sei giorni alla settimana. E il guadagno è in media dal 40% al 50% in meno rispetto ai colleghi assunti direttamente dall’azienda. Gli straordinari non vengono registrati né pagati, gli strumenti di lavoro (grembiuli, coltelli, guanti) e gli alloggi (dormitori affollati con un solo bagno) vengono forniti dal subappaltatore per € 200-350 euro/mese trattenuti dallo stipendio. Il lavoro è sempre precario e i sindacati non escludono che molti siano andati a lavorare nonostante i sintomi del virus.
‘Vale la pena sottolineare che le ispezioni nel settore delle carni tedesche non funzionano correttamente (neanche, ndr) in circostanze normali. C’è una mancanza di coordinamento tra gli ispettorati del lavoro e le diverse agenzie di controllo. Ad esempio, l’applicazione del salario minimo è controllata da un’agenzia, gli standard di salute e sicurezza dalle autorità del governo locale, gli standard di alloggio da un’altra agenzia governativa. Un altro problema è il fatto che le sanzioni non sono efficaci e non fungono da deterrente contro le violazioni della legislazione applicabile’ (EFFAT).
Irlanda
Il settore delle carni ha un ruolo significativo nell’economia irlandese, con circa 15.000 i lavoratori e 49 stabilimenti. 19 di essi sono cluster conclamati, con 1056 casi Covid-19 confermati.
I controlli sono stati ridotti dalla pandemia. Nessuna ispezione negli stabilimenti vecchi (anni ’60), mal ventilati e rumorosi (fatto che obbliga a urlare, con spargimento di droplets).
Le condizioni sono talmente sfavorevoli che solo i migranti si offrono: brasiliani, sudafricani ed europei dell’Est. Nel 2019 il governo ha rilasciato un totale di 917 permessi di lavoro per questi impieghi. Da gennaio ad aprile 2020, erano già 800.
I lavoratori, spesso assunti da agenzie interinali o subappaltati, guadagnano il salario minimo. Alcuni lavorano a cottimo (sono cioè pagati in base ai chili di carne che elaborano) e possono guadagnare un po’ di più. Ma sempre poco. Vivono in alloggi condivisi e si spostano con passaggi. Le linee guida per la protezione dei lavoratori dal contagio da Covid-19 sono state emanate solo il 18.5.20.
Le violazioni dei diritti dei lavoratori sono più frequenti nel settore delle carni rosse, mal organizzato. La situazione è leggermente migliore nelle industrie suinicola e avicola, ove il livello di sindacalizzazione è maggiore.
I sindacati irlandesi vengono marginalizzati. Viene vietato loro l’ingresso negli stabilimenti. E anche in presenza di un livello elevato di adesioni al sindacato, il datore di lavoro non ha l’obbligo di contrattazione collettiva.
Paesi Bassi
Nei Paesi Bassi la situazione è appena meno grave, almeno in termini di diritto. I focolai nei macelli sono comunque chiaramente correlati alle condizioni di vita dei lavoratori.
I primi test sono stati condotti dietro pressione della Germania. In un macello Vion (proprietà belga) vicino al confine tedesco (a Groenlo) e con lavoratori residenti in Germania, è risultato positivo un lavoratore su 5 (147 su 657). Un altro macello Vion è stato chiuso perché nei 17 furgoni che trasportavano i lavoratori stranieri non era assicurata la distanza minima interpersonale. Altri focolai sono emersi a Scherpenzeel (sempre di Vion) e a Helmond (proprietà Van Rooi).
L’80% dei lavoratori dell’industria della carne olandese è un migrante europeo assunto da agenzie temporanee olandesi. La retribuzione è pari al salario minimo e l’abitazione è organizzata dal datore di lavoro (appartamenti, ma anche bungalow o roulotte). Meno frequente è il ‘distacco’.
Regno Unito
In Regno Unito due impianti sono stati chiusi dopo l’emersione di focolai. Prima lo stabilimento di lavorazione del pollo Sisters and Anglesey (58 casi su 560). Poi due impianti di trasformazione, Kober (Yorkshire, 165 casi positivi) che fornisce pancetta ad Asda e Rowan Foods (Wrexham, Galles), che produce alimenti per i supermercati di tutto il Regno Unito.
La forza lavoro è costituita principalmente da migranti che vivono in alloggi angusti e sovraffollati e si spostano con trasporti pubblici. La maggior parte dei lavoratori stranieri non capisce l’inglese e non ha avuto accesso, secondo i sindacati, alle informazioni sulla pandemia. Anche chi sviluppa sintomi va al lavoro, per bisogno.
‘La retribuzione per malattia è troppo bassa, 95 sterline a settimana non sono sufficienti per vivere, per pagare l’affitto / elettricità’.
Francia
Tre cluster di Covid-19 sono stati confermati nei macelli in Francia. Uno nella cooperativa agricola Groupe Sicarev (54 casi), uno da Kermené a Côtes-d’Armor, in Bretagna (115 casi) e il terzo nell’impianto di Arrivé del gruppo avicolo LDC (9 casi).
La stragrande maggioranza dei lavoratori impiegati nel settore sono migranti e transfrontalieri che provengono dai Paesi europei più poveri dall’Europa e dall’Africa. Le pratiche di subappalto e il distacco di lavoratori sono ampiamente utilizzate.
Polonia
Focolai del nuovo coronavirus in un impianto di lavorazione del pollame di proprietà di Danish Crown a Czyzew e in un altro stabilimmo a Starachowice, nel sud-est della Polonia, con oltre 100 lavoratori malati o messi in quarantena.
Qui la forza lavoro comprende un gran numero di lavoratori migranti dall’Ucraina. Grazie alla posizione centrale in Europa e ai costi di manodopera relativamente bassi, la Polonia è diventata allo stesso tempo un importatore significativo (di suini vivi, carne fresca e congelata) e un protagonista internazionale della macellazione e lavorazione di carni suine. Norme più permissive su tutela dell’ambiente e qualità della carne hanno così attirato gruppi multinazionali.
‘Sembra che nella maggior parte delle fabbriche, i dipendenti inesperti lavorino fino a dieci-quattordici ore, e che gli straordinari siano spesso non retribuiti, specialmente nelle aree del paese con alta disoccupazione’.
Italia
Nonostante le misure di sicurezza sul lavoro concordate da sindacati, governo e imprese il 14.3.20 (e aggiornate il 24.4.20), tre focolai si sono registrati nel Mantovano, nei mattatoi Ghinzelli di Viadana (12 casi), Gardani (12) e Martelli a Dosolo (2). In tutti gli stabilimenti sono stati avviati test a tappeto.
Nei primi due macelli, i lavoratori contagiati sono dipendenti di una cooperativa di lavoratori che funge da subappaltatore. È il sistema ‘multiservizi’, di cui abbiamo scritto riguardo alla Italpizza. Lavoratori ‘esterni’ (in teoria), inquadrati come addetti a logistica e servizi, svolgono l’attività produttiva con salari e condizioni contrattuali sfavorevoli, orario e retribuzione ‘elastici’, licenziamenti facili.
Pratiche abusive di subappalto, secondo EFFAT. Lo schema di business prevede di affidare a questi lavoratori l’intero ciclo produttivo (macellazione, disossamento, taglio, lavorazione e imballaggio). Solo le mansioni di gestione e amministrazione vengono coperte da contratti collettivi di settore.
Il tarlo delle cooperative fittizie accomuna Italia e Spagna. ‘I lavoratori non sono nemmeno a conoscenza delle riunioni delle cooperative o delle decisioni prese per loro conto. Le pratiche illegali sono molto diffuse in termini di orario di lavoro, salute e sicurezza, tasse e contributi previdenziali. Questa catena di subappalto impiega quasi interamente lavoratori migranti provenienti da paesi extra UE (come Albania, Ghana, Costa d’Avorio, Cina) in condizioni precarie‘.
Norvegia
Due focolai sono emersi negli stabilimenti norvegesi di lavorazione delle carni. In uno dei due casi i lavoratori contagiati erano tutti ingaggiati da agenzie con contratto a termine. Gli stranieri (dall’Europa dell’Est) sono stati richiamati dai Paesi di origine nonostante il lockdown. Nessuna quarantena ma soltanto un isolamento sociale dopo l’orario di lavoro.
Negli stabilimenti sono peraltro state adottate tutte le misure di precauzione del caso, inclusa la traduzione delle informazioni in tutte le lingue madri dei lavoratori.
Spagna
Tre focolai di Covid-19 nei macelli e nelle aziende di confezionamento della carne. Poco, considerato che il comparto impiega circa 100.000 lavoratori e quasi 3.700 aziende. La Spagna è infatti il secondo produttore di carne, in volume, nell’Unione Europea (14,6% del totale).
Anche qui il settore delle carni è caratterizzato da pratiche di subappalto gestite da imprese spagnole. Società multiservizio, come in Italia, ma costituite come agenzie di lavoro interinale per evitare l’obbligo dei datori di lavoro di garantire la parità di trattamento (ai sensi della direttiva sui lavoratori interinali prevista dai contratti collettivi nazionali per il settore delle carni).
Belgio
In Belgio si è verificato un grave focolaio con 70 persone infettate e due decessi su 330 lavoratori in una fabbrica di carne del gruppo Lovenfosse.
Le condizioni abitative dei lavoratori distaccati e ‘subappaltati’, oltre al trasporto dei lavoratori, sono i punti deboli dell’organizzazione. Il distacco di lavoratori viene infatti abusato per risparmiare sul costoso regime di contributi assicurativi. A ciò si aggiunge il subappalto ad aziende della logistica o del commercio alimentare (con salari al minimo).
Durante la pandemia, sono state varate linee guida accurate e poster informativi in diverse lingue (arabo, rumeno, bulgaro, polacco). Ma il riconoscimento di Covid-19 come malattia professionale per i lavoratori dell’alimentare è limitato. Vale soltanto per il periodo tra il 13.3.20 e il 17.5.20 e le condizioni lavorative ove era impossibile mantenere una distanza sociale di almeno 1,5 metri. I sindacati protestano.
L’industria belga nel 2012 ha siglato un protocollo con il governo federale che prevede una responsabilità solidale lungo la catena del subappalto. Il governo ha anche cercato di combattere le pratiche sleali della Germania. Nel 2013 ha denunciato alla Commissione europea le ‘pratiche indegne‘ della Germania, colpevole di concorrenza sleale e dumping sociale.
Danimarca
Un esempio favorevole proviene dalla Danimarca. Se sono stati rilevati solo 5 casi di positività a Covid-19 nell’industria della carne danese è perché tutti i lavoratori della carne sono coperti da accordi collettivi di contrattazione e il livello di adesione al sindacato è molto alto.
Il distanziamento sociale – o le barriere in plexiglass, quando esso sia impossibile – è effettivamente rispettato. Così come l’equipaggiamento di DPI e la riorganizzazione delle postazioni di lavoro.
I macelli per suini in Danimarca, ancora controllati in larga parte da cooperative di agricoltori con storie secolari, sono tecnologicamente avanzati. Producono di più con meno lavoratori.
In Danimarca solo un lavoratore su quattro è un migrante, ed è comunque assunto direttamente dall’azienda (senza miseri subappalti). È dunque possibile vivere in abitazioni dignitose e sicure.
Austria
Nessun caso di Covid-19 è stato finora rilevato nel settore delle carni austriaco. Tutte le imprese sindacalizzate con rappresentanti dei comitati aziendali nel settore hanno applicato severe misure in materia di salute e sicurezza per proteggere dal rischio Covid i lavoratori. Sia nei macelli, sia negli impianti di confezionamento della carne.
Il problema si potrebbe verificare con le società non sindacalizzate, ove è difficile valutare se le misure sono attuate e rispettate correttamente. Il distanziamento sociale è comunque un problema e i comitati aziendali e i datori di lavoro delle aziende ne sono preoccupati.
Svezia
Nessun focolaio nel settore delle carni in Svezia. Le misure cautelari per garantire il distanziamento sociale e ridurre al minimo il rischio di contagio vengono rispettate.
Le richieste di EFFAT
EFFAT si rivolge innanzitutto alla Germania – presidente di turno del Consiglio UE – per migliorare le condizioni di lavoro nell’industria delle carni. ‘Il sistema di subappalto abusivo del settore delle carni tedesco ha distrutto migliaia di posti di lavoro in altri paesi dell’UE; è pertanto nell’interesse di tutti gli Stati membri e della Commissione che tali misure siano rapidamente adottate e attuate’.
La federazione europea dei sindacati alimentari chiede l’adozione di azioni concrete e urgenti, comprese misure vincolanti, sia a livello nazionale che a livello dell’UE. Per contrastare il dumping sociale e porre fine alla concorrenza sleale che negli ultimi anni ha distrutto migliaia di posti di lavoro nel settore delle carni in diversi Stati membri.
I sindacati europei dei lavoratori nel settore alimentare, rappresentati da EFFAT, chiedono dunque alla Commissione europea di:
- proporre un ambizioso strumento giuridico che garantisca una responsabilità solidale (a catena) in tutta la catena di subappalto. L’iniziativa dovrebbe inoltre mirare a rafforzare la contrattazione collettiva e combattere il dumping salariale,
- stimolare il governo tedesco ad adottare le misure richieste per migliorare la situazione nel settore delle carni,
- proporre al legislatore europeo uno strumento giuridicamente vincolante che garantisca alloggi dignitosi per tutti i lavoratori transfrontalieri, stagionali e migranti,
- potenziare con urgenza l’Autorità europea del lavoro (ELA), in particolare per quanto riguarda le ispezioni congiunte e concertate e la lotta contro il lavoro sommerso,
- il riconoscimento immediato di Covid-19 come malattia professionale,
- adottare misure per fare fronte all’eccessivo potere contrattuale dei rivenditori al dettaglio e mitigare le conseguenze della concorrenza sleale transfrontaliera europea e internazionale. A tale proposito, EFFAT invita le istituzioni dell’UE a garantire il rispetto delle norme contenute nella direttiva UE 2019/633 e le raccomandazioni contenute nella strategia Farm to Fork.
La Commissione europea viene inoltre richiesta di:
- adottare un’iniziativa vincolante in materia di due diligence che copra anche i subappalti e le catene di approvvigionamento,
- migliorare l’attuale quadro giuridico UE che disciplina i canali regolari di migrazione del lavoro, per garantire diritti uniformi sul lavoro e parità di trattamento,
- adottare un’iniziativa UE su salari minimi equi, al fine di promuovere la contrattazione collettiva settoriale e garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori e dei sindacati, ivi compresi i diritti di accesso ai sito e il diritto di organizzare e contrattare collettivamente.
Gli Stati membri sono poi chiamati a garantire:
- promuovere la revisione del regolamento 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, affinché venga introdotto con urgenza un codice europeo di sicurezza sociale (ESSN) e un appropriato sistema di verifica dello stato assicurativo,
- l’osservanza della direttiva rivista sul distacco dei lavoratori.
Il rapporto è disponibile integralmente a questo link.
Marta Strinati e Dario Dongo