Una recente nota dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) evidenzia come l’Italia sia il Paese europeo con il maggior numero di casi di botulismo. 342 casi, tra il 1986 e il 30.6.19, hanno coinvolto complessivamente 501 persone. (1) La sua forma più nota è quella di origine alimentare, a cui si aggiungono quelle infantile e da ferita. Attenzione va dedicata alle conserve fatte in casa e al miele per i neonati.
Botulismo alimentare
La contaminazione di prodotti alimentari da parte da Clostridium botulinum, agente del botulismo, rappresenta una delle più gravi minacce per la sicurezza alimentare. C. botulinum è un batterio anaerobico capace di produrre spore estremamente resistenti al calore e tossine ad attività neurotropa. Le tossine botuliniche vengono inattivate alla temperatura di 80 °C per almeno 10 minuti, mentre per le spore le temperature di inattivazione sono decisamente più elevate, come vedremo.
Tra le intossicazioni alimentari, il botulismo è indubbiamente la più pericolosa in quanto le neurotossine sono in grado di bloccare l’attività dei neuroni motori, con conseguente paralisi flaccida di vari distretti muscolari. I sintomi si sviluppano abbastanza rapidamente, poiché le tossine sono già presenti all’interno del prodotto alimentare. Compaiono in media dopo 12-36 ore dall’ingestione dell’alimento contaminato e possono prolungarsi, raramente, fino a 15 giorni. La paralisi ha un andamento discendente, con interessamento iniziale dei muscoli oculari e conseguenti disturbi visivi (diplopia, o visione doppia, e annebbiamento della vista), seguito da paralisi dei muscoli della deglutizione e della parola, incoordinazione dei movimenti, paralisi degli arti superiori e inferiori. A seconda della dose di tossina ingerita, i sintomi clinici possono variare da molto lievi a molto severi. Possono anche concludersi con il decesso della persona (nel 5% circa dei casi) – soprattutto nei pazienti non sottoposti a terapia intensiva – a causa di paralisi del diaframma e dei muscoli respiratori.
Gli alimenti a rischio
Le spore di Clostridium botulinum possono contaminare una vasta gamma di prodotti. Anzitutto i vegetali,poiché a contatto con terriccio, suolo e polvere. La larga distribuzione delle spore fa sì che esse possano venire ingerite da diversi animali e si ritrovano così nell’intestino di molti mammiferi e pesci, oltre che nei fondali marini e lacustri. I vegetali sono particolarmente esposti alla contaminazione in quanto, se imbrattati di terriccio e non accuratamente lavati, le spore di C. botulinum vi persistono a lungo.
Alcune conserve casalinghe – a base di funghi, melanzane, olive, etc. – sono particolarmente a rischio. Nella misura in cui non vengano sottoposte, come è invece prassi industriale – a temperature che garantiscono la distruzione delle spore (121°C per almeno 3 minuti). La successiva aggiunta di olio crea l’anaerobiosi necessaria allo sviluppo del microrganismo, che germina dalla spora e produce le neurotossine. Solo condizioni di elevata acidità (pH inferiore a 4,6) possono ostacolare lo sviluppo del clostridio e la produzione delle tossine botuliniche.
Botulinum, il nome attribuito al batterio, a ben vedere deriva dal latino botulus, cioè salsiccia. I primi casi spesso mortali di intossicazione botulinica vennero infatti segnalati a seguito del consumo di salsicce o sanguinacci di maiale, ove il clostridio poteva svilupparsi. Poiché le spore possono residuare nell’intestino di molti mammiferi, la macellazione del suino può condurre alla contaminazione delle carni. Ed è proprio per impedire la germinazione delle spore – e il conseguente sviluppo di Clostridium botulinum, con produzione delle tossine neurotrope – che alcuni additivi con funzione conservante (nitriti e nitrati di sodio e di potassio) vengono sistematicamente aggiunti a diversi prodotti a base di carne (es. salami, prosciutti cotti, mortadelle, würstel, etc.). (2)
Botulismo infantile e botulismo da ferita
Il botulismo infantile è particolarmente insidioso perché colpisce i bambini di età inferiore a 1 anno, in particolare tra i 3 e i 6 mesi di vita. È spesso causa di morti improvvise, in culla, di bambini di pochi mesi di vita. A differenza del botulismo alimentare, la malattia non è dovuta all’ingestione di tossine botuliniche preformate ma alla sola ingestione delle spore. Uno degli alimenti più a rischio per i neonati è il miele, talora ricco di spore le quali – una volta ingerite – germinano nell’intestino del bambino e producono le neurotossine in situ. Nel bambino di età superiore all’anno – così come nell’adulto – la flora batterica intestinale impedisce invece lo sviluppo delle forme vegetative, per cui le spore eventualmente ingerite non causano danni.
Il botulismo da ferita è invece causato dalla penetrazione delle spore (presenti in terriccio e polvere) all’interno di ferite abbastanza profonde, in genere di tipo lacero-contuso, non disinfettate opportunamente. Dalla germinazione delle spore si originano i batteri che elaborano le neurotossine, facilitati nel loro sviluppo dalla scarsità di ossigeno nelle parti profonde del tessuto leso. Il periodo di incubazione può variare da 4 a 14 giorni e i sintomi sono gli stessi della forma alimentare. Casi di botulismo da ferita sono stati altresì descritti in tossicodipendenti (a causa della scarsa igiene nell’uso di siringhe).
Silvia Bonardi e Dario Dongo
Note
(1) Istituto Superiore di Sanità, ISS. (2010). Focus botulismo alimentare, https://www.iss.it/focus/-/asset_publisher/92GBB5m5b1hB/content/id/4542962
(2) Ricerca e sviluppo, negli ultimi anni, sono stati orientati verso il possibile impiego di ingredienti vegetali con funzioni conservanti. V. precedenti articoli
– conservanti naturali nelle carni, https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/conservanti-naturali-nelle-carni,
– estratti vegetali con funzioni conservanti, cortocircuito in Europa, https://www.greatitalianfoodtrade.it/consum-attori/estratti-vegetali-nelle-carni-cortocircuito-in-europa,
– conservanti naturali nelle carni, il fico d’India. V. https://www.greatitalianfoodtrade.it/tecnologia-alimentare/conservanti-naturali-nelle-carni-il-fico-d-india-studio-università-di-catania