L’impatto della plastica sull’ambiente – che tutti ormai associano a inquinamento di acque, terra e aria – merita di venire considerato anche dal punto di vista delle emissioni di gas serra in atmosfera. Ai ritmi attuali di crescita della domanda globale di plastiche, si prospetta un’emergenza in divenire. In recente studio scientifico, l’analisi di scenario e strategie da attuare.
Plastica ed emissioni di gas-serra, scenario 2020-2050
‘Strategies to reduce the global carbon footprint of plastics’. (1) Lo studio scientifico pubblicato su Nature Climate Change considera anzitutto le emissioni di gas-serra, nel Life Cycle Assessment (LCA) dei materiali plastici. E il loro contributo complessivo alle emissioni globali di Greenhouse Gases (GHG), così dunque al cambiamento climatico:
– la produzione della resina è la fase in cui si producono più emissioni (61%), in particolare ove si lavorino polimeri vergini. Seguono le fasi di conversione (30%) e del ‘fine vita’ (9%), vale a dire smaltimento in discarica e incenerimento (calcolo su dati 2015).
– il 15% delle emissioni di gas-serra (6,5 Gt di CO2e) deriverà da questo solo settore produttivo – di qui al 2050 – se la crescita della domanda manterrà il ritmo attuale (+4%, la media annuale di periodo 2010-2015). Un’emergenza finora sottovalutata, atteso che alla plastica sono oggi attribuiti contributi alle emissioni di GHG relativamente modesti (3,5%, pari a 1,7 Gt di CO2e, 2015).
Plastiche e gas-serra, strategie
I ricercatori della Bren School of Environmental Science and Management (University of California, Santa Barbara, USA) hanno preso in considerazione quattro strategie che potrebbero limitare le emissioni di CO2 legate al ciclo vitale della plastica:
– riduzione del tasso di crescita della domanda, dal 4% al 2% annuo,
– energia rinnovabile. Con ipotesi di decarbonizzazione totale, con impiego esclusivo (100%) di energie rinnovabili entro il 2050,
– riciclaggio. L’obiettivo più ambizioso, paradossalmente, è quello di arrivare al 100% di riciclaggio nel 2050 (escludendo del tutto la quota, tuttora significativa, di smaltimento a rifiuto),
– sostituzione delle plastiche da combustibili fossili con quelle derivate da materiale biologico. (c.d. bioplastiche).
Prospettive
Le strategie individuate prospettano i seguenti scenari:
– la riduzione del trend di crescita della domanda di plastica (dal +4 a +2% l’anno) può ridurre i livelli di emissioni in misura sostanziale. Dal -56% (con mix energetico invariato rispetto al presente) al -81% (con sole energie rinnovabili), rispetto alla traiettoria delineata al 2050,
– la conversione alle energie rinnovabili può da sola ridurre il 62% dei GHG legati alle plastiche, a tasso invariato di crescita dei consumi. Contenere le emissioni entro i livelli attuali, se abbinata alla riduzione del trend di crescita della domanda. Diminuirle, ove poi si sostituiscano le materie prime con plastiche a base biologica,
– il riciclaggio totale dei rifiuti plastici di per sé consentirebbe la riduzione di un quarto delle emissioni (-25%),
– la sostituzione di plastica da petrolio con materiali di origine vegetale – sebbene utile a mitigare l’inquinamento di mari, Mediterraneo incluso, acqua e aria da microplastiche – non risulta avere un’incidenza significativa sui livelli di emissioni (2).
La sinergia delle soluzioni individuate – crescita dimezzata della domanda, 100% di energia rinnovabile e riciclo – può consentire di abbattere le emissioni legate al ciclo di vita dei materiali. Meno 77, 84, 86%, rispettivamente, su plastica da combustibili fossili e bioplastiche da mais e canna da zucchero.
– se tutti i rifiuti plastici venissero inceneriti, nel 2050 le emissioni di gas effetto serra raggiungerebbero le 8 Gt, il 22% in più rispetto il dato base (6,5 Gt). Mentre se tutti i rifiuti di plastica venissero riciclati, le emissioni nel 2050 sarebbero di 4,9 Gt, il 25% in meno di quelle previste,
Criticità
Il tasso di riciclaggio (18%) è ancora decisamente scarso, rispetto ai volumi della produzione globale di plastiche (4,07 milioni di tonnellate nel 2015). E al di là degli grandi impegni ventilati su scala globale – come il ‘New Plastics Economy Global Commitment’ (NPEGC) – i polimeri vergini rimangono più vantaggiosi, per gli operatori, rispetto a quelli che derivano da riciclo.
Il basso costo della materia prima da combustibili fossili rimane perciò la prima causa della resistenza alla transizione ecologica. Ed è perciò che gli operatori della filiera (di produzione, trasformazione e utilizzo dei materiali) devono venire chiamati a coprire gli immani costi della plastica sull’ambiente, a tutt’oggi esternalizzati sulle collettività. Servono politiche fiscali efficaci, incentivi agli impianti di riciclaggio e all’innovazione tecnologica.
Il ricorso alle bioplastiche non vale di per sé a risolvere il problema dei rifiuti, poiché il loro compostaggio o incenerimento producono emissioni simili se non superiori a quelle emesse dalle plastiche da idrocarburi. Oltre a richiedere una raccolta differenziata più selettiva e apposite infrastrutture di compostaggio. La produzione di biopolimeri inoltre, al pari di quella dei ‘biocarburanti’, non può venire basata su materie prime agricole sottratte alla produzione alimentare. (3)
‘I nostri risultati indicano che la riduzione assoluta delle emissioni di GHG nel ciclo di vita delle materie plastiche richiede una combinazione di decarbonizzazione delle infrastrutture energetiche, miglioramento della capacità di riciclaggio, adozione di materie plastiche a base biologica e gestione della domanda.’ (1)
Dario Dongo e Alessandra Mei
Note
(1) JiaJia Zheng, Sangwon Sush (2019). Strategies to reduce the global footprint of plastics. Nature Climate Change, 9, 374-378. https://doi.org/10.1038/s41558-019-0459-z
(2) La gestione EoL (End of Life) delle materie plastiche a base biologica, in particolare quella biodegradabile, richiede cambiamenti sistematici come la raccolta differenziata e l’infrastruttura di riciclaggio. L’inclusione delle materie plastiche biodegradabili nella miscela di rifiuti di plastica convenzionali può invero influire sulla qualità dei riciclati
(3) Se l’attuale domanda di plastica dovesse venire soddisfatta integralmente da bioplastiche, ne servirebbero 250 milioni di tonnellate/anno. E se i biopolimeri fossero derivati da commodities agricole – anziché da sottoprodotti della loro lavorazione e sfalci – servirebbe dedicare alla loro produzione il 5% dei terreni coltivati nel pianeta. Con aggravio dell’attuale crisi di food security. V. https://www.greatitalianfoodtrade.it/sicurezza/food-security-e-nutrizione-rapporto-fao-2019