La salama da sugo è un cibo immancabile, a Ferrara e dintorni, da oltre cinquecento anni. Un breve viaggio alla scoperta del celebre insaccato, tra storia e territorio.
Ferrara, storie di banchetti e salame
Ferrara è stata un crocevia internazionale, dal ‘400 al ‘600, grazie all’università e alle ‘politiche matrimoniali’ della corte d’Este. Laddove le duchesse aragonesi, francesi e austriache che si sono succedute hanno apportato nuovi stimoli e contributi. La scienza della nutrizione, tra l’altro, si è sviluppata proprio in tale poliedrico contesto. (1)
Dai profani banchetti di corte alla sacralità contadina, è a un parroco del ‘700 che si deve la prima guida pratica alla preparazione, conservazione e ‘gustazione’ del ‘salame da succo’, oggi noto come ‘salama da sugo’. (2) Carne grassa ben pestata, cotiche e fegato pestatissimi, vino rosso, sale pepe e cannella, noce moscata e chiodi di garofano (i conservanti storici delle carni, dalla scoperta delle Indie all’avvento della chimica moderna).
Il Consorzio dei produttori attuali di salama da sugo, purtroppo, ne ha rinnegato la tradizione. Optando per una registrazione IGP, nel 2014, anziché per una DOP che avrebbe consentito di valorizzare le carni locali. Oltre a limitare il periodo minimo di stagionatura a soli 6 mesi.
Salama da sugo, preparazione e ‘gustazione’
La salama da sugo viene preparata utilizzando varie parti del suino (es. guanciale, polpa magra che residua dalle rifilature che servono a preparare prosciutti e spalle, coppa di collo e una piccola quota di lingua e fegato). Le carni, salate e speziate, vengono macinate e amalgamate col vino rosso, poi insaccate nella vescica del maiale, in una caratteristica forma tonda.
La legatura (a otto o sedici spicchi, in base all’estro dell’artigiano) precede la fase di asciugatura e stagionatura. Almeno un anno, secondo tradizione, nella ‘camera dei salami’. Ancora oggi, nelle campagne ferraresi, alcuni contadini producono le ‘salamine’ seguendo le ricette tramandate di generazione in generazione. Tempo e pazienza, per stagionare e per cuocere.
La ‘gustazione’ caratteristica passa per 7-8 ore di bollitura a fuoco lento. La salama viene poi servita fumante, accanto a un purè di patate o di zucca, o anche di mele, per rievocare il sapore agrodolce tanto amato nel Rinascimento. Ai tempi moderni è d’uso anche la ‘Salama da tai’ (taglio), servita fresca d’estate a fette sottili che si accompagnano a melone o fichi.
Dario Dongo e Susanna Tartari
Note
(1) La letteratura locale sulla nutrizione prende le mosse da Battista Massa da Argenta, ‘De fructibus virtutes’ (‘I frutti commestibili’, 1471)
(2) Don Domenico Chendi, parroco di Tresigallo (FE), ‘L’agricoltore ferrarese’ (1761)
(3) Dopo una spazzolata con setole morbide e un passaggio in acqua tiepida, per rimuovere le incrostazioni superficiali, si inserisce la salama in un sacchetto ben chiuso. Si fissa il sacchetto a un cucchiaio di legno da poggiare di traverso sui bordi di una pentola capiente e piena di acqua fredda, facendo in modo che il salume vi rimanga sempre immerso senza mai toccare il fondo né le pareti del recipiente. E via col fuoco lento, per ore e ore.