Diete equilibrate e filiere alimentari sostenibili, sogno o realtà? La transizione dell’Europa verso l’agroecologia e il biologico potrebbe venire effettivamente raggiunta in una decina d’anni, secondo IDDRI (Institut pour le Développement Durable et les Relations Internationales).
Tutelare la salute umana e l’ambiente, salvare il clima e la biodiversità. Non bastano la politica né le petizioni o i ‘Fridays For Future’, bisogna mangiare in modo diverso. Più fibre, più verdure e frutta di stagione, meno proteine animali. I consumAttori, come sempre, sono i protagonisti. L’evoluzione della dieta può consentire di ridurre le importazioni di proteine vegetali (es. soia, legumi) e nutrire l’intera popolazione europea. Per ‘sostenere la sostenibilità’, sempre più bio, #IoVotocolPortafoglio.
Agroecologia in Europa nel 2050, uno scenario possibile
‘Un’Europa agroecologica nel 2050: agricoltura multifunzionale per un’alimentazione sana’. Lo studio dell’istituto indipendente IDDRI presenta uno scenario che mostra come sia possibile convertire l’intera agricoltura europea verso il metodo biologico. Grazie a ‘Ten Years For Agroecology In Europe’. (1)
‘Sono necessari 10 anni’, spiegano i ricercatori, ‘non per raggiungere interamente l’agroecologia in Europa in quest’arco di tempo, ma per lanciare un movimento che renderà tutto ciò una prospettiva credibile’. Lo studio perciò dimostra come questa transizione ‘non è solo desiderabile, ma anche credibile. Si aprono un dibattito e una nuova area strategica, [anche] nella politica’.
Eliminazione progressiva di pesticidi e fertilizzanti di sintesi, estensione delle infrastrutture agro-ecologiche (es. siepi, alberi, stagni, strisce di natura selvatica) e diete alimentari più sane sono alla base della transizione. La produzione potrà ridurre in termini quantitativi ma migliorare, nella qualità nutrizionale e nelle prestazioni socio-ambientali.
‘Nonostante un calo della produzione del 35% rispetto al 2010 (in kcal), questo scenario soddisfa il fabbisogno alimentare di tutti gli europei mantenendo al tempo stesso la capacità di esportare cereali, latticini e vino. Riduce le emissioni di gas serra nel settore agricolo del 40% rispetto al 2010, ripristina la biodiversità e protegge le risorse naturali’.
La transizione del sistema agricolo e alimentare può così rispondere alle esigenze più concrete e attuali:
– nutrire la salute, con inversione di tendenza rispetto a ‘diete sempre più squilibrate’ che guidano l’avanzata di obesità anche infantile, diabete e malattie cardiovascolari,
– preservare la biodiversità, a cui la FAO ha di recente dedicato un ampio rapporto, e le risorse naturali,
– mitigare i cambiamenti climatici, rispetto ai quali l’agricoltura industrializzata su larga scala rimane un fattore rilevante.
Studio IDDRI, i punti focali
Il sistema agroalimentare non è sostenibile nel medio termine, neppure nel Vecchio Continente. ‘Anche se produciamo molto in Europa, mangiamo troppo e le nostre diete sono squilibrate in relazione alle raccomandazioni nutrizionali dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) e dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS)’. Iper-produzione, sprechi sistemici e consumi squilibrati.
‘Un’Europa agro-ecologica può soddisfare il fabbisogno alimentare equilibrato di 530 milioni di europei entro il 2050’. Nessun rischio per le esigenze nutrizionali degli europei se si passa a una dieta sana, in linea con le raccomandazioni di Efsa e Oms. Né alcuna rinuncia ai cibi della tradizione legati alla terra, ivi compresi carne e vino. Soltanto, si devono ridurre i consumi di alimenti d’origine animale, privilegiandone la qualità. E soprattutto meno zuccheri aggiunti, più fibre, in generale più verdura e frutta di stagione.
La ‘food security’ – vale a dire, la sicurezza degli approvvigionamenti alimentari e dunque la disponibilità di cibo sano e nutriente per tutti – è a sua volta stata oggetto di un recente rapporto FAO. E può ancor meglio venire garantita dall’agro-ecologia, nella prospettiva tra l’altro di ridurre le importazioni di legumi e cereali extra-UE (e così, la domanda di prodotti che provengano da filiere spesso insostenibili). Possono poi venire costituite riserve, molto utili in situazioni di estrema volatilità dei prezzi e/o di crisi alimentari.
Salute e ambiente, un’utopia possibile. I compiti della politica
Lo scenario proposto da IDDRI è di certo coerente alle esigenze mostrate nel rapporto ONU ‘The State of the World In 2050’. I ‘Sustainable Development Goals’ (SDGs) fissati per il 2030 sono lontanissimi e si allontanano sempre più, in particolare per ciò che attiene a eliminazione della povertà estrema e della denutrizione che vi si accompagna.
‘Una visione archetipica ideale per il 2050’ può dunque tradursi in realtà a condizione di attivare fin da subito le sinergie indispensabili a promuovere filiere eque e sostenibili. Con la pressione dal basso dei consumatori e il contributo della politica.
La politica europea deve affrancarsi dal peso delle lobby di Big Food e delle Big 4, per lavorare con serietà su tre fronti:
1) stimolare il #cambiamento dei profili nutrizionali del cibo spazzatura con misure cogenti. Gli alimenti ultra-trasformati, allorché si qualifichino come HFSS (High Fats, Sugar and Sodium), devono venire sottoposti a:
- tasse su zuccheri (nonché sodio, nei prodotti che lo contengano) e grassi. Il sicuro effetto di tale misura è quello di costringere gli operatori a migliorare la ricetta, come si è visto con le bevande zuccherate in Inghilterra,
- divieti di vendita nei luoghi frequentati da minori e giovani, e in loro prossimità (es. scuole, impianti sportivi e ricreativi),
- limiti drastici di offerta nei distributori automatici (es. non oltre il 5%) rispetto ai cibi sani,
- drastico divieto di pubblicità e a ogni forma di ‘marketing to kids’, anche sui ‘social media’, in relazione ai cibi HFSS,
2) stabilire uno schema d’informazione nutrizionale sintetica in etichetta, con codici cromatici che aiutino i consumAttori a distinguere i cibi ‘buoni tutti i giorni’ rispetto a quelli da consumare in circostanze eccezionali e quantità omeopatiche. Il modello NutriScore, già adottato nelle vicine Francia e Spagna, risulta ideale anche per l’Italia,
3) intervenire sulla catena del valore nella filiera agroalimentare e le questioni socioeconomiche che ne derivano. Attraverso misure atte a promuovere:
- equa remunerazione degli agricoltori impegnati nelle produzioni sostenibili,
- incentivi alla conversione al metodo biologico, tenuto conto del suo ruolo distintivo ed essenziale nel mitigare il cambiamento climatico è preservare gli ecosistemi. Anziché inquinare le falde acquifere e mettere a repentaglio la salute pubblica con gli agrotossici,
- accesso al cibo sano e naturale alle fasce di popolazione che vivano in condizioni disagiate, mediante apposite misure di assistenza sociale e welfare. Tali misure devono venire garantite nell’intera Unione Europea, per riaffermare il diritto umano fondamentale al cibo. Un diritto già consacrato dalle Nazioni Unite, che vi hanno pure dedicato un Relatore Speciale, che tuttavia i Paesi asseritamente ‘civili’ continuano a ignorare.
Allineare le politiche agricole, commerciali, alimentari, sanitarie e ambientali non sarà facile. Ma ‘questa è la sfida della politica Agricola Comune.’, ricorda lo studio IDDRI. Sottolineando come già nei decenni passati la produzione agricola abbia vissuto trasformazioni importanti, da principio neppure immaginabili.
Lo scenario ipotizzato oltretutto non ‘piove dal cielo’ bensì esprime la risultante, la somma vettoriale di tutte le forze di pensiero e i movimenti sociali orientati verso il bene comune. Coloro che obiettano all’impiego di OGM e pesticidi, si preoccupa per la salute alimentare, i cambiamenti climatici, il benessere degli animali. Proprio come noi e la gran parte dei nostri lettori.
#Égalité!
Dario Dongo e Sabrina Bergamini
Note
(2) FAO, ‘The State of the World’s Biodiversity for Food and Agriculture’