Sprechi alimentari, quanti e dove? In UE ‘si calcola’ che essi incidano sul 20% circa del cibo prodotto ogni anno, sulla base però di dati incompleti. La Commissione europea, con atto delegato 13.5.19, ha definito un criterio comune di misurazione a cui gli Stati membri dovranno uniformarsi. Per garantire un monitoraggio effettivo dei livelli degli sprechi alimentari in ogni fase della filiera e lavorare così alla loro riduzione.
Sprechi alimentari in UE, incertezza dominante
L’Unione Europea produce più di 88 milioni di tonnellate di ‘food waste’ su base annua – il 20% circa della produzione pari a 173 kg pro capite, i quali generano costi stimati in oltre 143 miliardi di euro. Secondo gli ultimi dati disponibili, raccolti nell’autunno 2014. (1) I primi produttori di rifiuti alimentari sono risultati essere le famiglie (47 ± 4 milioni di tonnellate) e l’industria (17 ± 13 mln ton), per un complessivo 72% del totale. Il restante 28% è stato attribuito a ristorazione (11 mln ton, 12%), produzione primaria (9 milioni di tonnellate, 10%), distribuzione all’ingrosso e al dettaglio (5 mln ton, 5%). (1) A livello globale, diversi studi dimostrano che tra 1/3 e 1/2 della produzione alimentare mondiale non viene consumata. (2)
‘Rifiuti alimentari: frazioni di ‘cibo e parti non commestibili di alimenti rimossi dalla filiera alimentare’ da recuperare o smaltire (compresi compostati, colture arate / non raccolte, digestione anaerobica, produzione di bioenergia, cogenerazione, incenerimento, smaltimento in fognatura, discarica o gettata in mare).’
La ricerca pubblicata nel 2016 su incarico della Commissione – nell’ambito del 7’ Programma quadro di ricerca – si basa sui dati variamente aggregati da Eurostat e OECD, nonché su quelli forniti dagli Stati membri. E tuttavia, secondo gli stessi autori, mantiene ‘un’incertezza moderatamente elevata nella stima delle quantità di rifiuti alimentari’, con un margine d’errore valutato in ± 14 milioni di tonnellate (o ± 16%). Vale a dire che il risultato ponderato (88 mln ton) potrebbe variare tra 74 e 101 milioni di tonnellate.
I ricercatori hanno perciò raccomandato l’adozione di definizioni e metodi comuni, affinché gli Stati membri possano misurare con regolarità gli sprechi, identificare le aree critiche e condividere le rilevazioni. Ed è questo infatti il punto di partenza per definire le azioni più appropriate da intraprendere per mitigare il fenomeno.
Prevenzione sprechi ed economia circolare
La prevenzione degli sprechi alimentari è stata identificata come uno dei settori prioritari del Piano d’azione sull’economia circolare, Circular Economy Action Plan, adottato dalla Commissione a dicembre 2015.(3) Lo spreco alimentare è inoltre uno dei dieci principali indicatori del Circular Economy Monitoring Framework, che indica il livello di avanzamento nella transizione dal flusso lineare ‘make-use-dispose’ alla circolarità, la quale tende a ridurre al minimo la perdita di risorse.
Lo spreco alimentare è una vergogna per una società che ostina a dichiararsi ‘civile’. E pur tollera che 1 individuo su 7 patisca fame e denutrizione cronica. Un problema etico, economico e ambientale. Ridurre le perdite e gli sprechi alimentari, nella logica degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals, SDGs) in Agenda ONU 2030, significa dunque:
– recuperare cibi da distribuire ai bisognosi attraverso le food bank, come il
Banco Alimentare. Nella sola Europa 43 milioni di persone non riescono a consumare un pasto nutriente neppure a giorni alterni, 15 milioni soffrono gravi carenze nutrizionali,
– contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico. Lo spreco alimentare, secondo calcoli basati su pur approssimativi dati, è stimato generare circa l’8% delle emissioni globali di gas serra,
– risparmiare denaro e risorse. Agricoltori, imprese di trasformazione e distribuzione/ somministrazione, consumatori. Ciascuno ha un ruolo e una responsabilità, ma anche un vantaggio nel ridurre lo spreco. Ciò vale per gli alimenti come per i contenitori e materiali a contatto. Un concetto ‘scontato’ solo a parole, visto l’impiego tuttora demenziale di oggetti monouso nei pubblici esercizi, bicchieri in plastica in primis.
Ridurre la produzione – prima ancora del consumo – di ciò che non è strettamente indispensabile è il primo imperativo categorico. E va affrontato con un approccio sistemico, come dimostra il recente studio scientifico ‘Food wastage. Systemic approach and structural prevention’ ripreso da ISPRA nel suo recente rapporto tecnico.
Metodo comune di misurazione, la proposta UE
La Decisione delegata della Commissione europea ‘sull’integrazione della direttiva 2008/98/CE per quanto attiene a una metodologia comune e ai requisiti minimi di qualità per la misurazione uniforme dei livelli degli sprechi alimentari’, adottata il 3.5.17, è ora sottoposta a valutazioni del Parlamento e del Consiglio per eventuali modifiche. (4)
Il metodo proposto dalla Commissione prevede la raccolta dei dati relativi allo spreco e l’analisi delle relative cause, separatamente, in ogni singola fase della filiera agroalimentare. Produzione agricola primaria, trasformazione, distribuzione nelle sue varie forme, ristoranti e food service, consumo. Senza dedicare apposita considerazione, tuttavia, alle fasi di importazione, stoccaggio e logistica (che vanno quindi ricondotte ai comparti di relativa competenza, nello schema di cui sopra). (5)
La classificazione dei rifiuti alimentari segue i criteri già adottati in apposite normative cui viene fatto esplicito richiamo (in Allegato II). Precisando altresì i criteri da adottare per la stima dei rifiuti – da misurare in tonnellate di fresh mass – al netto degli imballaggi alimentari. Gli Stati membri sono obbligati a eseguire i monitoraggi – secondo le modalità stabilite in Allegati III e IV – trasmettendo a Bruxelles i relativi rapporti annuali (articolo 2). È altresì prevista l’adozione, su base volontaria, di criteri ulteriori per la raccolta di dati qualitativi di maggior dettaglio (articolo 3).
La misurazione degli sprechi in ogni fase della supply chain costituisce infatti la base per lavorare alla loro riduzione, in vista del raggiungimento dell’apposito Sustainable Development Goal in Agenda ONU 2030. Il Target 12.3 in particolare mira a dimezzare gli sprechi alimentari pro-capite, a livello di vendita al dettaglio e di consumo finale, entro il 2030.
Dario Dongo
Note
(1) Cfr. rapporto FUSION (Reducing food waste through social innovation), 7’ Programma Quadro di ricerca UE, 31.3.16, ISBN 978-91-88319-01-2, http://www.eu-fusions.org/ phocadownload/Publications/ Estimates%20of%20European% 20food%20waste%20levels.pdf
(2) Gustavsson et al (2011). Bio Intelligence Service, dati 2010
(3) Nel contesto del Circular Economy Action Plan si inserisce, tra l’altro, il ‘pacchetto economia circolare’ adottato ad aprile 2018. Per una visione complessiva delle iniziative UE su questo tema, si veda http://ec.europa.eu/ environment/circular-economy/ index_en.htm
(4) ‘European Commission Delegated Decision on supplementing Directive 2008/98/EC of the European Parliament and of the Council as regards a common methodology and minimum quality requirements for the uniform measurement of levels of food waste’, http://ec.europa.eu/ transparency/regdoc/rep/3/ 2019/EN/C-2019-3211-F1-EN- MAIN-PART-1.PDF
(5) V. documento citato in nota 4, considerando 5

Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.