La sostenibilità ambientale della pasta è oggetto di un recente studio scientifico, pubblicato su ‘Resources’. I ricercatori delle Università di Firenze e Roma hanno esaminato due filiere produttive, mettendo a confronto grani antichi e moderni. Quali orizzonti?
Un mondo di pasta italiana
Il consumo di pasta nel mondo è quasi raddoppiato, da 9 ai 15 milioni di tonnellate l’anno, nell’ultimo decennio. E l’Italia – ove questo alimento viene consumato regolarmente da 9 persone su 10, ogni giorno da 1 su 3, ne è protagonista a livello globale. Non solo per i consumi pro-capite (23 kg/anno, seguiti dai 16 della Tunisia, i 12 del Venezuela e gli 11,2 della Grecia), ma anche per la manifattura e l’export. Al punto che quasi un quarto della pasta consumata nel pianeta è a tutt’oggi Made in Italy.
La produzione italiana di pasta ha invero raggiunto i 3,4 milioni di tonnellate, nel 2018. Con una ragguardevole quota di export (58%, quasi 2 milioni di tonnellate). E l’Italia è anche il primo produttore di grano duro in Unione Europea, con 1,28 milioni di ettari coltivati.
La produzione agricola nazionale, tuttavia, non è ancora in grado di garantire l’autosufficienza della filiera. A fronte di un fabbisogno industriale di 5,6 mln ton/anno di frumento duro e una produzione che negli ultimi 5 anni si è attestata, in media, sui 4 milioni di tonnellate (dati Italmopa, Associazione Industriali Mugnai d’Italia).
Pasta 100% italiana, un mondo in divenire
La domanda di prodotti alimentari da filiere 100% Made in Italy è peraltro in forte crescita, come mostrano l’Osservatorio Immagino 2018 (GS1-Italy) e il rapporto Coop Italia 2019.
La pasta 100% italiana è destinata peraltro a raccogliere un crescente interesse anche a livello internazionale. Anzitutto in Europa, grazie al regolamento (UE) 2018/775 che – a decorrere dall’1.4.20 – prescrive di indicare in etichetta l’origine o provenienza dell’ingrediente primario, laddove essa sia diversa dal Paese di produzione indicato. (2)
Produzioni e consumi sostenibili, il caso della pasta
Il #WorldPastaDay, alla sua 21a edizione il 25.10.19, è stato dedicato alla cottura #aldente. Un argomento buono per ogni epoca e circostanza, ma al contempo futile e inattuale. Tanto più adesso, in presenza di ‘temi caldi’ come:
- crescita sensazionale dei consumi globali di pasta,
- impennata della domanda di prodotti a filiera corta,
- nuove regole UE sull’etichettatura dell’ingrediente primario,
- diffidenza verso il frumento dal Canada a causa del glifosato ivi ammesso in fase pre-raccolta,
- crescente attenzione verso i Sustainable Development Goals, SDGs, in Agenda ONU 2030.
Come raggiungere l’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile n. 12, Produzioni e Consumi Sostenibili? Come può la filiera della pasta contribuire alla realizzazione di altri SDGs? Come si può dunque trasformare tale filiera, affinché divenga ‘parte della soluzione’ anziché rimanere ‘parte del problema’ del cambiamento climatico?
La sostenibilità ambientale è il vero tema da affrontare, avendo riguardo ai consumi di energia e acqua, la produzione di rifiuti, le emissioni di CO2 generate da produzione e trasporti, il mantenimento di biodiversità e qualità dei suoli. In termini più generali la sostenibilità può venire intesa come la capacità di preservare nel lungo periodo condizioni ambientali, sociali ed economiche favorevoli.
Impronta ambientale della pasta, grani ‘antichi’ locali vs. grani ‘moderni’ internazionali a confronto. Lo studio scientifico
Lo studio scientifico pubblicato su Resources, opera di un gruppo di ricerca delle Università di Roma e Firenze, è dedicato proprio alla ‘Environmental Sustainability of Pasta Production Chains: An Integrated Approach for Comparing Local and Global Chains’. (3) I ricercatori hanno misurato l’impronta ambientale di due filiere produttive. La prima utilizza semola di grani ‘antichi’ (varietà Senatore Cappelli) e tecniche tradizionali, la seconda impiega grani ‘moderni’ nazionali ed esteri, nonché processi industriali.
La ricerca è stata condotta utilizzando un metodo integrato di analisi, che si basa su EIAN (Environmental Impacts ANalysis) e LCA (Life Cycle Assessment). Per misurare l’impronta ambientale delle filiere – dalla semina al consumo, senza trascurare le fasi intermedie (stoccaggio e logistica) – su suolo, acqua, aria, risorse naturali e cambiamento climatico. I grani antichi si confermano essere più ecologici, grazie al minor consumo di fertilizzanti e ai livelli inferiori di meccanizzazione.
Una precedente ricerca, di cui pure abbiamo scritto, aveva già mostrato come la coltivazione di grani antichi con sistema biologico abbia addirittura una impronta carbonica negativa. Questo lavoro a sua volta mostra come la produzione di 1 kg di pasta secca, a seconda dei casi, richieda:
– 1,706 kg di CO2e, 13,7 MJ di energia fossile, 0,206 kg di risorse non rinnovabili, per la pasta da grani antichi e tecniche tradizionali,
– 1,765 kg di CO2eq, 14,3 MJ di energia fossile, 0,152 kg di energia non rinnovabile per la pasta da frumenti moderni di varia origine.
I grani antichi si distinguono però soprattutto per la riduzione del rischio di degrado del suolo e il mantenimento dell’agrobiodiversità che la loro coltura consente di garantire, confermano i ricercatori. Se pure la loro resa risulti inferiore e ciò comporti l’impiego di maggiori superfici e più acqua – a raffronto con le cultivar moderne – per ottenere gli stessi quantitativi di pasta.
Pasta sostenibile, quali orizzonti?
15 anni fa l’industria alimentare italiana – di fatto guidata dal gruppo Barilla, primo contribuente dell’allora UNIPI (Unione Industriali Pastai Italiani, ora Unione Italiana Food) – opponeva le richieste di etichettatura d’origine delle materie prime affermando che la produzione agricola italiana era insufficiente per quantità e qualità. Per sopperire a tale dichiarato deficit l’Italia ha sempre importato grano da Canada, Usa, Australia, Francia, Messico ed Est Europa. Nell’arco di un decennio però a questa falsa retorica si è sostituita la valorizzazione della pasta di grano italiano (dallo stesso gruppo Barilla, con il marchio Voiello).
Le importazioni di frumento duro dal Canada sono crollate. Poiché anche le grandi industrie pastaie, salvo rare eccezioni, hanno finalmente compreso la tendenza che la GDO (Grande Distribuzione Organizzata) aveva intercettato con tempismo. L’interesse cioè dei consumAttori verso una pasta italiana al 100%, rigorosamente senza glifosate. E senza quelle micotossine, mutagene e cancerogene, che trovano ambiente ideale di proliferazione nelle stive delle navi per il trasporto delle granaglie.
Il nuovo orizzonte della pasta in Italia è un ritorno alle origini, con le garanzie offerte dall’innovazione. Grani antichi caratterizzati geneticamente, coltivati con metodo biologico – che continua a crescere – e tracciati con un sistema di blockchain pubblica (es. Wiise Chain).
Filiere eque e sostenibili, biodiversità e rispetto, degli ecosistemi e di chi li abita. A prezzi accessibili, senza rinunciare a riconoscere gli sforzi di chi si impegna in una filiera ‘buona e giusta’. Una questione di buon senso ed efficienza.
Dario Dongo e Paolo Caruso
Note
(1) Lucia Recchia, Alessio Cappelli, Enrico Cini, Francesco Pegna, Paolo Boncinelli. (2019). Environmental Sustainability of Pasta Production Chains: An Integrated Approach for Comparing Local and Global Chains. Resources. 8. 56. 10.3390/resources8010056
(2) Chi scrive ha rinominato ‘Origine Pianeta Terra’ il reg. UE 2018/775, a causa della genericità delle indicazioni ammesse (fino a ‘UE/non-UE’, Origine Pianeta Terra appunto) e delle deroghe ingiustificate. A favore di indicazioni geografiche contenute nei marchi, IGP, prodotti biologici. In ogni caso, la sua applicazione consente di distinguere con facilità la pasta da frumento estero rispetto a quella 1 facilmente distinta
(3) V. nota 1