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Bio-distretti, l’isola felice nata nel Cilento e replicata in tutto il mondo

L’isola felice, in cui tutti collaborano per vivere secondo i principi dell’agroecologia e nutrirsi con alimenti biologici, esiste. Si chiama bio-distretto. Nato in Italia, nel Cilento, vent’anni fa, questo modello virtuoso si è esteso in tutto il mondo, con 1300 territori biologici (80 in Italia) attivi nei cinque continenti. (1)

L’esperienza è stata ripercorsa al seminario organizzato da INNER (la Rete internazionale dei bio-distretti) a Scandriglia (Rieti) il 10 ottobre 2024, con Salvatore Basile, ‘padre’ del bio-distretto Cilento, nonché direttore di INNER, e Cesare Zanasi, professore dell’Università di Bologna esperto conoscitore (e ricercatore) di bio-distretti. (2)

Il biodistretto ideale

La definizione del bio-distretto è ‘un territorio in cui agricoltori, consumatori, amministratori pubblici e altri operatori economici locali, hanno stretto un patto formale per la gestione sostenibile delle risorse, secondo i principi dell’agricoltura biologica e dell’agroecologia’.

Il fine ultimo è sviluppare sistemi alimenti locali sostenibili biologici (SALS-bio) interconnessi a livello globale. Una dimensione ‘glocal’. Lontana dagli insani principi che governano la globalizzazione delle commodities alimentari gestite da pochi colossi finanziari e dalle produzioni forzate a suon di chimica, ma anche diversa dai piccoli circuiti isolati e chiusi allo scambio.

Venti anni con il vento in poppa

Il clamoroso successo dei bio-distretti emerge da un lungo percorso, dal locale al globale, segnato da tre tappe significative

– 2004. Nasce il bio-distretto Cilento, in Campania, e vengono definite le prime linee guida alla costituzione dei bio-distretti

– 2014. Viene costituita la Rete internazionale dei bio-distretti (INNER, International Network of Eco Regions). Vengono definite le linee guida internazionali e implementato il Tool Kit per creare e gestire i bio-distretti

– 2020. Nasce l’Alleanza mondiale dei bio-distretti, GAOD (Global Alliance for Organic Districts) – di cui Salvatore Basile è co-presidente. L’accordo, firmato presso il ministero dell’Agricoltura italiano a Roma, coinvolge 1300 territori di cinque continenti.

Ora è tempo di coordinare tutte le esperienze biodistrettuali già sviluppate, al fine di coinvolgere altri governi, organizzazioni, territori, per creare la massa critica necessaria al cambiamento globale!’ (Salvatore Basile)

Una comunità viva

L’ampiezza del movimento si deve alla partecipazione attiva di ogni singolo componente di un bio-distretto. Insegnanti, operatori commerciali e del turismo, giornalisti e comunicatori, cittadini di qualsiasi ambito lavorativo sono tutti protagonisti necessari.

Gli agricoltori e gli allevatori hanno però un ruolo decisivo. Devono impegnarsi nella (ri)scoperta e nella diffusione delle enormi potenzialità delle produzioni biologiche. Le linee guida del bio-distretto peraltro non sono sovrapponibili alle normative. Nel bio-distretto Cilento, per esempio, accanto a mille aziende agricole certificate bio ve ne sono altre 20mila bio non certificate ma considerate di pari valore – ai fini del bio-distretto – in quanto pratichino l’agroecologia. (3)

Gli amministratori pubblici, a loro volta, hanno la responsabilità di migliorare la qualità della vita della popolazione. Incentivando le pratiche agricole sostenibili, con vantaggi economici nella partecipazione ai mercati territoriali, per esempio, introducendo nelle mense collettive (scolastiche in primis) gli alimenti bio locali e promuovendo la cura del territorio e della comunità anche mediante buone pratiche nella gestione dei rifiuti e della cosa pubblica.

La produzione alimentare è centrale, è il primo passo per migliorare l’ambiente circostante. La filiera corta, il km zero, ha senso soltanto in chiave biologica. Ne derivano suolo e acqua puliti, senza percolature di agrotossici, come testimonia la collezione di Bandiere Blu attribuite ogni anno al mare del bio-distretto del Cilento.

Il turismo nei bio-distretti

Un bio-distretto attira visitatori. È la destinazione di una forma di turismo sostenibile, etico, di precisione. Ogni anno migliaia di persone si spostano tra i bio-distretti (170 in Europa) per condividere tradizioni e culture, fare corsi, escursioni, immergersi nelle bellezze dei vari territori biologici.

INNER, che fornisce sostegno concreto e operativo ai bio-distretti, rilascia persino un Passaporto dei bio-distretti sul quale registrare (con timbro ufficiale) le visite ai territori, valide anche come crediti formativi per i tecnici INNER. Ogni bio-distretto si caratterizza infatti in un particolare ambito. In Francia per l’energia rinnovabile con pale eoliche, in Portogallo per l’architettura sostenibile, per esempio.

Tanta vitalità si traduce naturalmente in posti di lavoro, in ricchezza da condividere con i giovani, che solitamente abbandonano le aree rurali e i piccoli centri per trasferirsi nelle città in cerca di realizzazione e guadagno.

Come nasce un bio-distretto

La nascita di un bio-distretto richiede la presenza sul territorio di elementi oggettivamente favorevoli. Ciascun territorio può distinguersi per la prevalenza delle produzioni biologiche, la presenza di aree a naturale vocazione turistica e via dicendo. A partire da questi valori, con l’aiuto degli esperti INNER, si valutano le condizioni esistenti, le potenzialità e la strategia di sviluppo, spiega il professore Cesari Zanasi dell’Università di Bologna.

La dotazione economica è utile per lanciare il progetto e fare quadrare i conti. In Italia, viene in aiuto lo Stato, con un bando che può accordare un finanziamento di 400mila euro/anno a bio-distretto. Un ruolo importante è tuttavia svolto dagli stakeholders. (4)

Specificità e anomalie

Ciascun bio-distretto può distinguersi per particolari vocazioni. Il bio-distretto della Sabina è attualmente molto mirato sui percorsi storico-turistici ma ancora privo di connessioni con il fiorente settore delle produzioni agricole. Quello Etrusco Romano, viceversa, è denso di aziende agricole biologiche ma meno mirato sul turismo. E ancora, le regioni Sardegna e Marche – entrambe dichiarate interamente bio-distretto – suscitano perplessità.

Nel caso della Sardegna, tuttavia, brilla il bio-distretto Sud Sardegna e Arcipelago del Sulcis al quale aderiscono 50 aziende di produzione, trasformazione e commercializzazione di prodotti biologici, oltre ad associazioni coerenti con l’agroecologia.

Il seminario ospitato a Scadriglia ha offerto un focus illuminante sui bio-distretti. I quali meritano un approfondimento utile a valorizzare e sostenere le esperienze virtuose e segnalare quelle meno sincere.

Marta Strinati

Note

(1) V. La mappa dei bio-distretti su ecoregion.info

(2) Marta Strinati. Agricoltura biologica e biodistretti in Sabina, seminario. GIFT (Great Italian Food Trade). 4.10.24 https://www.greatitalianfoodtrade.it/progresso/agricoltura-biologica-e-biodistretti-in-sabina-seminario/

(3) Dario Dongo, Camilla Fincardi. Agroecologia, SDGs, salvezza. Il decalogo della FAO. GIFT (Great Italian Food Trade). 12.4.20

(4) Dario Dongo, Donato Ferrucci, Nicolò Passeri. Biodistretti, o distretti biologici. Il ministero dell’agricoltura definisce i requisiti. L’ABC. GIFT (Great Italian Food Trade). 6.3.23

Marta Strinati

Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".

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