Il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per il Lazio, con sentenza pubblicata il 14 febbraio 2023, aveva annullato il decreto interministeriale su piante officinali e ingredienti botanici, nella parte in cui si ipotizzava l’applicazione in Italia del Testo Unico Stupefacenti alla coltivazione della Cannabis Sativa L. ai fini dell’utilizzo di sue foglie, infiorescenze, germogli. (1)
Il governo italiano – non pago delle cattive figure, per avere ancora una volta ostacolato la libera circolazione delle merci nel mercato unico e danneggiato una filiera virtuosa, basata su una coltura senza pari nelle prestazioni di cattura della CO2 in atmosfera – però insiste, con un ricorso presentato dall’avvocatura di Stato il 6 settembre 2023 al Consiglio di Stato. Un approfondimento.
1) ‘Decreto officinali’, il ricorso al TAR
Quattro associazioni di settore (Federcanapa, Canapa Sativa Italia, Sardinia Cannabis, Hrd-Ong Resilienza Italia), tre aziende agricole e tre imprese di trasformazione e distribuzione avevano presentato ricorso al TAR Lazio per l’annullamento del decreto 21 gennaio 2022 – adottato dal ministero dell’agricoltura, di concerto con quelli della transizione ecologica e della salute – recante ‘Elenco delle specie di piante officinali coltivate nonché criteri di raccolta e prima trasformazione delle specie di piante officinali spontanee’.
Il pregevole ‘decreto officinali’ era stato infatti corrotto da una previsione in palese contrasto con il diritto europeo, come già denunciato su questo sito (2,3). Laddove si indicava che ‘la coltivazione delle piante di cannabis ai fini della produzione di foglie e infiorescenze o di sostanze attive a uso medicinale è disciplinata dal decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, che ne vieta la coltivazione senza la prescritta autorizzazione da parte del Ministero della salute’ (decreto officinali, articolo 1, comma 4).
2) Cannabis Sativa L., le regole UE
Cannabis Sativa L. è qualificata – nel Common Market Organization Regulation (EU) No 1308/2013, e in atti successivi – come ‘prodotto agricolo’ e ‘pianta industriale’. Senza alcuna distinzione tra le parti della pianta della canapa che possono venire impiegate nella filiera produttiva. Ai fini della qualificazione come pianta industriale, la canapa deve solo soddisfare due condizioni:
– provenire da varietà iscritte al Catalogo Comune delle varietà delle specie delle piante agricole (direttiva 2002/53/CE, articolo 17),
– avere un livello di THC inferiore o pari allo 0,3%.
3) Canapa industriale, legislazione italiana
La legge italiana 242/2016 recante ‘Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa’ a sua volta si applica ‘alle coltivazioni di canapa delle varietà ammesse iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, ai sensi dell’articolo 17 della direttiva 2002/53/CE (…), le quali non rientrano nell’ambito di applicazione del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope‘ (art. 1, comma 2).
‘Dall’esame di tali norme’ – rilevava TAR Lazio nella sentenza 12 febbraio 2023 – ‘non è dato evincere alcuna distinzione tra le parti della pianta di canapa liberamente coltivate, ai sensi della legge citata n. 242/2016, che possono essere utilizzate per le finalità stabilite dalla legge medesima. La disciplina di settore di matrice internazionale e comunitaria chiarisce, infatti, che il criterio discretivo per stabilire la libera coltivazione della canapa risiede nella tipologia di pianta, considerata nella sua interezza’.
4) Court of Justice of the European Union, case-law
Court of Justice of the European Union, come ha ricordato il TAR, è intervenuta su una vicenda analoga a quella di specie, ‘inerente la conformità al diritto dell’Unione Europea di una normativa nazionale (francese) che vietava la commercializzazione del CBD (cannabidiolo) estratto alla pianta cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi’. La Corte di Giustizia UE – come si è visto (4) – ha chiarito che:
– le norme nazionali in grado di restringere la libera circolazione delle merci nel mercato unico devono venire giustificate da concrete esigenze di tutela della salute pubblica (TFEU, Treaty for the Functioning of the European Union, articolo 36). In particolare,
– ‘la decisione di vietare la commercializzazione (…) può essere adottata soltanto qualora l’asserito rischio reale per la salute pubblica risulti sufficientemente dimostrato in base ai dati scientifici più recenti disponibili (…). In un contesto del genere, la valutazione del rischio che lo Stato membro deve effettuare ha ad oggetto la stima del grado di probabilità degli effetti nocivi per la salute umana derivanti dall’impiego di prodotti vietati e della gravità di tali effetti potenziali’,
– ‘nell’esercizio del loro potere discrezionale in materia di tutela della salute pubblica, gli Stati membri devono rispettare il principio di proporzionalità. I mezzi che essi scelgono devono essere pertanto limitati a quanto effettivamente necessario per garantire la tutela della salute pubblica, e devono essere proporzionati all’obiettivo così perseguito, il quale non avrebbe potuto essere raggiunto con misure meno restrittive’. (5)
5) Consiglio di Stato francese, il precedente
Il Conseil d’État francese – come pure si è visto (6) – ha esaminato approfonditamente la questione chiarendo che la direttiva 2002/53/CE del Consiglio, relativa al catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole, prevede:
– che gli Stati membri provvedono affinché ‘le sementi delle varietà ammesse conformemente alle disposizioni della presente direttiva o ai principi corrispondenti a quelli della presente direttiva non siano soggette ad alcuna restrizione di commercializzazione’, nonché
– ‘le condizioni alle quali gli Stati membri possono essere autorizzati dalla Commissione europea a vietare l’uso di una varietà o, se vi sono validi motivi per ritenere che essa presenti un rischio in particolare per la salute umana, a prescrivere condizioni per l’uso di prodotti risultanti dalla coltivazione di una varietà elencata nel catalogo comune delle varietà (articolo 16, comma 1,2).
In estrema sintesi, come ha spiegato il TAR Lazio, ‘il Conseil d’État, pronunciandosi sulla legittimità del provvedimento nazionale di divieto, sottolinea, anzitutto, che una siffatta misura restrittiva deve
– essere giustificata alla luce dell’obiettivo di sanità pubblica perseguito e
– risultare proporzionata ai rischi per la salute connessi alle sostanze vietate. Osservando, in proposito, che i suddetti rischi dipendono dalle quantità di THC effettivamente ingerite a seconda dei prodotti consumati e dei modelli di consumo, così da concludere che, allo stato dei dati scientifici, il consumo delle foglie e dei fiori delle varietà di cannabis con un tenore di THC inferiore allo 0,3% non crea rischi per la salute pubblica tali da giustificare un divieto generale e assoluto della loro commercializzazione’. (1)
6) Gestione del rischio e principi di buona amministrazione
‘Le considerazioni espresse dal massimo organo di giustizia amministrativa francese risultano ugualmente valide per la risoluzione dell’odierna vicenda contenziosa’, ha spiegato il TAR Lazio – ‘nella misura in cui, nell’esercizio del potere discrezionale, ciascuno Stato membro è chiamato, in virtù dell’assoggettamento ai vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, ad applicare – nel quadro della politica agricola di rilievo sovranazionale – il corretto bilanciamento tra l’interesse alla tutela della salute pubblica ed i principi eurounitari di proporzionalità e di precauzione nell’adozione di misure restrittive alla libera circolazione dei prodotti agricoli.
La pubblica amministrazione è chiamata nella propria attività di gestione del rischio a tutelare interessi opposti con diverse gradualità secondo una prospettiva dinamica, senza soluzioni aprioristiche, escluse ab origine dalla insussistenza di certezza scientifica.
Nella scelta della miglior tecnica di gestione del rischio l’attività amministrativa deve fondarsi sul rispetto dei principi di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza, che permeano quali principi generali l’azione amministrativa’ (art. 1 della legge n.241/1990).
7) Principi di precauzione e di libera circolazione delle merci
‘Il principio di precauzione è sintetizzato a livello europeo nell’adozione da parte della pubblica amministrazione di azioni proporzionate, non discriminatorie, trasparenti e coerenti, in quanto dirette alla realizzazione di un corretto equilibrio nell’attività di bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco’. (1)
Nel caso in esame il TAR Lazio ha dedotto che ‘la limitazione all’industrializzazione ed alla commercializzazione della canapa soltanto alle fibre ed ai semi risulterebbe in contrasto con gli articoli 34 e 36 del TFUE, i quali devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che vieta la commercializzazione del cannabidiolo (CBD) legalmente prodotto, qualora sia estratto dalla pianta di cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi, a meno che tale normativa sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo della tutela della salute pubblica e non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento.
In altre parole, la normativa nazionale di ciascun Stato membro può limitare l’utilizzo delle parti della pianta soltanto se tale limitazione sia strettamente indispensabile a tutelare il diritto alla salute pubblica, purché ciò non ecceda quanto necessario per il suo raggiungimento. In caso contrario, la normativa nazionale determinerebbe una indebita restrizione quantitativa, che si porrebbe in aperto e manifesto contrasto con il principio di libera circolazione delle merci sancito a livello europeo’. (1)
8) TAR Lazio, la decisione
‘Nessuna evidenza circa l’esigenza di tutela del diritto alla salute, anche nell’ottica del principio di precauzione, è stata fornita dalle amministrazioni resistenti, che si sono limitate ad invocare siffatti principi senza tuttavia fornire alcun dato concreto o elemento scientifico rispetto alla fattispecie che occupa’.
Il ‘decreto officinali’ oltretutto è ‘un atto meramente amministrativo (…) e, come tale, deve essere corredato da idonea motivazione che tenga adeguatamente conto delle ragioni di interesse pubblico sottese all’adozione dell’atto’.
L’amministrazione deve perciò ‘spiegare adeguatamente le superiori esigenza di tutela della salute e di precauzione, fornendo i dati scientifici che diano effettiva evidenza della sussistenza di un rischio derivante dalla coltivazione delle piante della canapa nella sua interezza (i.e. semi, derivati dei semi, foglie e infiorescenze da cui sia stata estratta la resina)’.
‘Le Amministrazioni resistenti dovranno, pertanto, riesaminare il provvedimento adottato, tenendo conto delle evidenze scientifiche sottese all’esigenza di tutela della salute nel rispetto dei principi eurounitari di precauzione e di proporzionalità’. (1) Il TAR Lazio ha quindi accolto il ricorso delle associazioni e gli operatori della filiera canapicola, annullando il ‘decreto officinali’ nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
9) Avvocatura di Stato, il ricorso al Consiglio di Stato
Il ricorso dell’avvocatura di Stato al Consiglio di Stato – per l’annullamento della sentenza del TAR Lazio illustrata nei precedenti paragrafi – si distingue già nelle prime pagine per un’affermazione apodittica e ascientifica, secondo cui il CBD ‘può essere utilizzato per la produzione di sostanza stupefacente’ (6.1). Nella plateale ignoranza della letteratura scientifica a base delle indicazioni di WHO (World Health Organization), la decisione 2 dicembre 2020 della ‘United Nations Commission on Narcotic Drugs’ e quella adottata il giorno successivo dalla Commissione europea, ove si nega qualsivoglia azione ‘stupefacente’ del cannabidiolo. (7)
L’avvocato generale Tito Varrone – dopo aver tacciato di ‘superficialità’ le motivazioni alla sentenza del TAR Lazio – si rivolge poi al giudice amministrativo di legittimità adducendo che ‘la coltivazione della canapa in Italia è al centro di molti dibattiti, rendendo complesso comprendere quali siano i limiti della legalità nell’ambito delle attività di coltivazione della stessa, soprattutto a seguito delle recenti aperture e/o arresti della giurisprudenza, in merito alla coltivazione di canapa per uso esclusivamente personale’ (6.4 ricorso). A seguire, richiami a giurisprudenza del tutto fuori tema rispetto ai vizi del ‘decreto officinali’ identificati da TAR Lazio.
10) Osservazioni conclusive
Va dato merito al TAR Lazio di avere riconosciuto la superiorità del diritto europeo, che ha infatti rango superiore financo alle leggi costituzionali nazionali, rispetto a un decreto interministeriale in palese contrasto con esso. Non poteva ne potrà essere altrimenti, anche al Consiglio di Stato in Italia, dopo che la Corte di giustizia dell’Unione Europea ha fornito interpretazione ufficiale (vincolante per tutte le istituzioni e amministrazione anche giudiziarie dell’UE e dei suoi Stati membri) sulla legittimità di coltivazione e utilizzo di ogni parte della Cannabis Sativa L.
Si rimarca tuttavia – ancora una volta, purtroppo, come nella più recente pronuncia su una vergognosa circolare del ministero della Salute, che in spregio alle regole UE ha consentito di nascondere la natura di additivo conservante del lisozima utilizzato nel Grana Padano DOP (8) – come il TAR Lazio si sia ostinato a non condannare le amministrazioni centrali alle spese di giudizio per atti illeciti che hanno causato gravi danni alla collettività. Laddove invece servirebbero segnali forti, già in questa sede, per stigmatizzare l’irresponsabilità di tutti i dirigenti pubblici coinvolti.
Si annota infine il disinteresse delle grandi confederazioni agricole verso il grave pregiudizio che il ‘decreto officinali’ ha inflitto e minacciato di infliggere a una coltura promettente come quella della canapa industriale. Una coltura radicata nella penisola fin dal Medioevo, che ha visto l’Italia al secondo posto dopo la Russia nella produzione globale – fino alla sua eradicazione imposta dal piano Marshall (per cedere al cotone ‘Made in USA’ il mercato europeo dei filati) – ed è tuttora emblema di agroecologia, economia circolare e lotta al cambiamento climatico. (9)
Dario Dongo
Note
(1) Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per il Lazio, Sezione Quinta. Sentenza 25.1.23, pubblicata il 14.2.23, nel procedimento n. 02613/2023 Reg. Provv. Coll. https://tinyurl.com/4dj7fctx
(2) Dario Dongo. Piante officinali e ingredienti botanici, lo schema di decreto si incaglia su fiori e foglie di canapa. GIFT (Great Italian Food Trade). 23.6.21
(3) Dario Dongo. Decreto piante officinali, possibili equivoci sulla canapa. GIFT (Great Italian Food Trade). 14.1.22
(4) Dario Dongo. CBD naturale, la Corte di Giustizia UE dichiara illegittimi i divieti ingiustificati. Nuovi orizzonti. GIFT (Great Italian Food Trade). 21.11.20
(5) Court of Justice of the European Union. Sentenza del 28 gennaio 2010 nella causa C-333/08, punti 89,90
(6) Dario Dongo. Fiori e foglie di canapa, via libera in Francia e in Italia. GIFT (Great Italian Food Trade). 15.2.23
(7) Dario Dongo, Silvia Giordanengo. Cannabis Sativa, CBD. Via libera da ONU e Commissione europea. GIFT (Great Italian Food Trade). 7.12.20
(8) Dario Dongo. Grana Padano con conservante lisozima, la conferma del TAR. GIFT (Great Italian Food Trade). 1.12.23
(9) Dario Dongo. Canapa industriale ed economia circolare. GIFT (Great Italian Food Trade). 16.8.19

Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.