‘Filiera corta’. Dopo l’esame delle regole UE e le buone prassi applicabili, si offrono alcuni spunti sulle tendenze di mercato e le norme vigenti in Italia.
La ‘filiera’ in etichetta nel rapporto Immagino 2018 di GS1-Italy
L’Osservatorio Immagino di GS1-Italy, nel proprio ultimo rapporto, offre un quadro completo delle informazioni obbligatorie e volontarie esposte sulle etichette dei 72.100 prodotti alimentari distribuiti sui canali della GDO nel 2018. Tra queste, 613 etichette – pari allo 0,8% del totale – riportano notizie relative alla ‘filiera’ di provenienza. In aggiunta alle indicazioni soggette ad apposite regole, quali DOP, IGP, biologico.
Il dato di per sé non è particolarmente significativo, tenuto anche conto dell’ambiguità e ingannevolezza di alcune diciture. (1) Si annota peraltro la progressiva diffusione di notizie relative alla filiera (+14,1% rispetto al 2017), utilizzate su 55 marchi del comparto produttivo e su 10 marchi della GDO (Grande Distribuzione Organizzata). Le due diciture più in voga, nel 2018:
– ‘filiera controllata’, su 345 prodotti, vendite superiori a € 125 milioni (+12,3%),
– ‘filiera certificata’, 72 prodotti, 48,5 milioni di euro (+5,4%).
A ben vedere si tratta di affermazioni del tutto prive di significato, pleonastiche e spesso illecite. (2) Le quali denotano la scarsa fantasia degli uffici marketing e al contempo la carenza d’iniziativa degli operatori. I quali potrebbero invece caratterizzare i loro disciplinari con elementi ulteriori, legati al territorio e alla sostenibilità di ogni fase del processo. Con l’obiettivo di fidelizzare i consumAttori attraverso ‘patti sociali’ che consolidino valore sul territorio.
‘Filiera corta’ e ‘prodotti a chilometro utile’, le norme nazionali
La legge 158/17 – ‘Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni’ – ambisce a promuovere e favorire la vendita di prodotti che provengano da ‘filiera corta’ o ‘a chilometro utile’.
Per ‘prodotti agricoli e alimentari provenienti da filiera corta’ si intendono i prodotti agricoli e alimentari provenienti da una filiera di approvvigionamento formata da un numero limitato di operatori economici che si impegnano a promuovere la cooperazione, lo sviluppo economico locale e stretti rapporti socio-territoriali tra produttori, trasformatori e consumatori.’ (3)
Niente di nuovo rispetto all’altrettanto vaga previsione del legislatore europeo. Il concetto di filiera corta rimane indefinito, se pure ancorato ad alcuni valori. Rimane dunque onere dell’operatore che vi faccia richiamo essere in grado di dimostrare la veridicità e concretezza delle proprie affermazioni. Diverso è il caso dei
Per ‘prodotti agricoli e alimentari ‘a chilometro utile’ si intendono quelli ‘provenienti da un luogo di produzione o da un luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola primaria utilizzata nella trasformazione dei prodotti, situato entro un raggio di 70 chilometri dal luogo di vendita, nonché i prodotti per i quali è dimostrato un limitato apporto delle emissioni inquinanti derivanti dal trasporto, calcolato dalla fase di produzione fino al momento del consumo finale’. (4)
Il ministero dell’ambiente, d’intesa con quello dell’agricoltura, avrebbero dovuto definire i criteri e i parametri da osservare per dimostrare il limitato apporto delle emissioni inquinanti. Ma il governo giallo-verde ha tralasciato tale aspetto, dedicando invece priorità alla legittimazione dei fanghi tossici in agricoltura.
Filiera corta, opportunità inespresse
Al ‘100% Made in Italy’ va la maglia rosa del rapporto Immagino 2018, come si è visto. I consumatori italiani hanno finalmente imparato ad apprezzare i prodotti le cui filiere siano radicate sul territorio, come dimostra il clamoroso successo della pasta da grano italiano. La materia prima agricola Made in Italy non è necessariamente migliore, ma favorirla significa contribuire alla nostra economia, all’occupazione e al PIL, all’agricoltura e l’indotto.
La ‘filiera corta’, nondimeno, è stata registrata soltanto su 16 delle 72.100 etichette esposte a scaffale dei supermercati in Italia nel 2018. Convenienze di bottega o semplice miopia? Come si fa a non capire che i consumAttori possono apprezzare l’impiego del frumento italiano anche nei prodotti a forno, i legumi nazionali anziché quelli canadesi carichi di glifosato, i biscotti krumiri col burro italiano invece del palma tropicale?
‘Meditate gente, meditate...’ (cit. Renzo Arbore)
Dario Dongo
Note
(1) Un inganno diffuso è il richiamo ai concetti di ‘lotta integrata’ o simili sui prodotti di IV e V gamma. Poiché infatti la lotta integrata in agricoltura è obbligatoria, in Italia come in Europa, il suo vanto in etichetta è da intendersi vietato, ai sensi del reg. UE 1169/11, articolo 7.1.c. Laddove si proibisce di attribuire a un prodotto alimentare caratteristiche che sono invece comuni ai prodotti della stessa categoria
(2) Per le ragioni di diritto di cui in nota 1, vantare il controllo o la certificazione della supply chain dei prodotti a marchio del distributore è da intendersi altresì vietato. Trattandosi, ancora una volta, di caratteristiche comuni a tutta l’ortofrutta confezionata con private label
(3) V. legge 158/2017, art. 11.2.a
(4) Cfr. legge 158/17, art. 11.2.b
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.