La EU Food Policy Coalition chiede alla Commissione europea di valutare le migliori metodologie per la etichettatura ambientale degli alimenti. Il rischio, se verrà approvato lo schema PEF (Product Environmental Footprint), è premiare l’agricoltura intensiva con uso di pesticidi e gli allevamenti in gabbia, anziché le pratiche agronomiche e zootecniche biologiche rispettose dell’ambiente.
Etichettatura ambientale degli alimenti, la lettera
La lettera aperta del 7.3.22 è firmata da 14 ONG aderenti alla Coalizione per la politica alimentare UE. (1) Tutte sostengono l’ugenza di adottare una etichettatura che riveli al consumatore il profilo dell’alimento sotto gli aspetti ambientali, nutrizionali e sociali, oltre che in riferimento al benessere animale. Ma confutano il metodo.
‘Nutriamo serie preoccupazioni sulla metodologia Product Environmental Footprint (PEF), attualmente considerata dalla DG ENV come base per l’imminente proposta di convalida delle indicazioni verdi, che si applicherà anche ai prodotti agroalimentari e che potrebbe essere ripresa dalla DG SANTE per valutare le prestazioni ambientali degli alimenti nella prossima iniziativa sull’etichettatura di sostenibilità nell’ambito della legislazione quadro sui sistemi alimentari sostenibili’, scrivono le ONG.
Le contraddizioni del PEF
Il metodo PEF (Product Environmental Footprint) incentrato sul prodotto è stato inizialmente progettato per i beni industriali. Non era concepito per venire applicato ai complessi sistemi agroalimentari. E infatti, quando applicato, produce risultati fuorvianti.
Le anomalie sono gravi, se l’obiettivo è attuare la strategia Farm to Fork. Il PEF, infatti, penalizza le pratiche agricole estese e premia quelle intensive. Per esempio, le uova delle galline in gabbia ottengono punteggi migliori rispetto alle uova allevate all’aperto, che a loro volta ottengono punteggi migliori in confronto alle uova biologiche. Un’assurdità, evidentemente.
L’agricoltura non è una fabbrica
Il motivo di questi travisamenti è che il PEF è prevalentemente un indicatore di resa. Quindi privilegia ‘ciecamente’ i metodi di produzione più intensivi, senza tenere conto di vari elementi positivi né delle esternalità negative del processo di produzione alimentare.
I metodi di produzione, però, sono fondamentali per definire la sostenibilità dei prodotti agroalimentari. Infatti, ben l’83% dell’impatto dei 2.500 prodotti alimentari più consumati è legato alla produzione agricola.
Un metodo nemico della fauna marina
A conferma della inidoneità del metodo PEF per l’etichettatura ambientale o di sostenibilità degli alimenti è la mancanza di parametri ormai cari anche ai consumatori, come l’impatto sulla biodiversità e l’uso di pesticidi.
Nelle regole di categoria (PEFCR), inoltre, il metodo applicato ai pesci di mare non tiene conto dei metodi di pesca, invece determinanti nelle riduzioni degli stock ittici, spiegano le ONG.
Serve un confronto
Prima che sia troppo tardi, le ONG firmatarie della lettera aperta chiedono alla Commissione europea di istituire un processo di governance inclusivo, con incontri volti a valutare le criticità accennate.
Metodi alternativi al PEF come PlanetScore e Omni Label sono già disponibili e in uso, come abbiamo visto.
L’obiettivo, del resto, è noto: perseguire gli obiettivi della strategia Farm to Fork, compresa la riduzione dell’uso di pesticidi, fertilizzanti e antimicrobici, l’aumento della quota di terreni agricoli dell’UE coltivati ad agricoltura biologica e il miglioramento benessere degli animali.
Marta Strinati
Note
(1) La lettera aperta è disponibile a questo link.
Le ONG firmatarie sono The European Consumer Organisation (BEUC) BirdLife Europe and Central Asia, Compassion in World Farming EU, Biodynamic Federation Demeter International, European Environmental Bureau (EEB), European Community of Consumers Co-operatives, Eurogroup for Animals, Fair Trade Advocacy Office, Feedback, FOUR PAWS European Policy Office, Greenpeace European Unit, IFOAM Organics Europe, PAN Europe, Slow Food Europe.
Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".