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Alibaba e Coop Italia, Cina e cibo Made in Italy. Un’opportunità per tutti?

È passata quasi inosservata la notizia dell’approdo di Coop Italia sul campione planetario dell’ecommerce, il mese scorso. Alibaba, Cina e alimenti Made in Italy. Un’opportunità per tutti, accogliere l’invito dello strepitoso Jack Ma? (1) Alcune brevi riflessioni a seguire.

La comunicazione in generale e la politica in particolare tendono a generalizzare, senza fare le opportune distinzioni di dimensioni e numeri. È invece utile fare i conti con la realtà. Per aggredire con successo un mercato dalle dimensioni e caratteristiche come quello della RPC, sono necessarie ingenti risorse (finanziarie, umane, tempo), analisi di mercato accurate e strategie di medio-lungo termine. Che ben pochi gruppi dispongono, nel panorama italiano del food & drink.

Una considerazione preliminare vale a introdurre il concetto. I colossi USA che dominano il mercato digitale dell’Occidente, malgrado enormi investimenti effettuati, sono finora falliti nella penetrazione del mercato cinese (v. infografica su dati 2016).

Si potrebbe obiettare che il protezionismo in auge nel mercato cinese è più forte in settori a elevato valore aggiunto e replicabili internamente. I servizi offerti dai citati colossi USA sono infatti presidiati da gruppi cinesi (Alibaba, Baidu, Tencent, Huawei) che di fatto controllano e dominano il mercato interno.

Il food italiano potrebbe avere migliori chance, grazie a marchi iconici e prodotti inimitabili. A condizione però che tali valori immateriali siano presidiati da un livello di organizzazione, capacità finanziaria e investimenti a portata di pochissimi. L’avventura potrebbe viceversa rivelarsi fallimentare per le PMI, i cui prodotti rischiano venire ‘clonati’ dai giganti internazionali (con buona memoria del successo globale del Parmesan a marchio Kraft) prima di raggiungere i volumi di vendite e il cash flow necessari a riorganizzare le produzioni su larga scala.

Non bisogna perciò sottovalutare la capacità dei produttori locali di emulare lavorazioni storicamente credute inimitabili. Grazie anche all’acquisizione di know how e tecnologie originali, come nel caso delle conserve di pomodoro. (2) O all’acquisto di intere aziende, quali l’oleificio Salov di Lucca – titolare del marchio ‘Filippo Berio’ – da parte del gruppo cinese Yimin, nel 2014. (3)

I volumi sono determinanti. Con le dovute proporzioni, la Cina rappresenta per i più grandi operatori italiani quello che la GDO rappresenta in Italia per gli artigianali. La prospettiva cioè di incrementare i ricavi in misura significativa senza rinunciare alla propria identità e alla qualità dei prodotti. E se le pratiche commerciali della GDO europea sono inique, quelle di Amazon vanno ben oltre. Essendo richiesti – tra l’altro – la spedizione delle merci nella RPC e il noleggio degli spazi a magazzino a spese del fornitore. In attesa della vendita (preceduta da sdoganamento on demand), sulla quale peraltro non vi sono garanzie.

Il cerchio così si chiude, per tornare al punto di partenza. Servono solidità finanziaria, organizzazione, investimenti. Senza dimenticare il marchio. Che non va soltanto registrato ma anche reso conoscibile – prima ancora che visibile – nel Paese più popoloso del mondo. Dove a tutt’oggi brand come Amazon o eBay hanno scarso significato, un eufemismo. Altrimenti, meglio guardare altrove.

Auguriamo dunque al sistema-Paese che Coop Italia possa assumere il ruolo del Marco Polo del III millennio. E magari, che altri operatori della GDO italiana decidano di seguirla. Serve aprire una nuova rotta verso l’Impero di Mezzo, per le produzioni agro-alimentari italiane.

Dario Dongo e Fabio Ravera

 

Note

(1) La statura intellettuale di Jack Ma può venire intesa ascoltando la sua memorabile lezione di storia e geopolitica, ai restanti leader del pianeta, quest’anno a Davos https://youtu.be/sC6IgkDg46E

(2) Cfr. http://www.internazionale.it/reportage/stefano-liberti/2017/04/08/pomodoro-cina-italia

(3) In barba alla retorica sull’italianità dei cibi italiani e l’origine delle loro materie prime, l’extra vergine di oliva spagnolo a marchio Filippo Berio (di proprietà cinese) ha rappresentato il Made in Italy all’ultimo festival enogastronomico del Los Angeles Times

Specialista in modelli di distribuzione e Revenue Operations con oltre 25 anni di progetti in settori industriali e paesi differenti (12 anni negli US). Lavoro su Organizzazioni lean, Inefficienze della Supply Chain, progetti di ristrutturazione organizzativa e finanziaria, Digitalizzazione e GDPR

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