La #PlasticTax sta animando una diatriba, in Italia, tra le fazioni politiche governative e di opposizione. Ma ai commentatori del teatrino politico nazionale – come ad alcuni dei suoi protagonisti – sfugge la visione di uno scenario più ampio. Il rapporto #BreakFreeFromPlastic offre alcuni esempi delle iniziative eco-logiche portate avanti in altri Paesi d’Europa.
Plastic Tax, il dibattito in Italia
La Plastic Tax – come diverse altre misure contenute nella manovra di bilancio decisa dal governo, una su tutte la Sugar Tax – viene contestata quale ennesima, inutile gabella. Se pur necessaria, assieme ad altre, a scongiurare la ben più grave minaccia di un aumento dell’IVA, che andrebbe a colpire tutti i cittadini indiscriminatamente.
I c.d. stakeholder, le parti sociali interessate, a loro volta, sono animati dal ‘qui e ora’. Così i riciclatori (Assorimap), i trasformatori di materie plastiche (Unionplast), i consumatori (Federconsumatori) e la GDO (Federdistribuzione) chiedono di aprire un tavolo di lavoro. Senza affrettarsi su una misura di cui si paventa un grave impatto su economia e occupazione. Fortemente avversata, ça va sans dir, anche da Confindustria e Plastics Europe.
La retorica del coniglio che sbuca all‘improvviso dal cilindro di un prestigiatore affamato di denaro, tuttavia, è falsa nei presupposti. Poiché trascura:
– le premesse. La totale disattenzione, della politica come di gran parte degli operatori e dei consumatori, verso il Life-Cycle Assessment (LCA) e la corretta gestione dei materiali d’imballaggio a seguito del consumo,
– l’attualità. Una crisi ambientale indiscussa e senza precedenti. L’inquinamento da plastiche e microplastiche, che interessa l’Italia e il Mediterraneo ben più dei Paesi del Nord Europa,
– lo scenario. Non si dibatte – come pure sarebbe utile – sull’Eurozona e i periodici diktat imposti ai soli PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna). Ma sulle politiche ambientali di breve, medio e periodo da attuare nel Vecchio Continente. A partire dall’Unione Europea, per coinvolgere anche gli Stati vicini e i partner commerciali.
Inquinamento da plastica. Cognizione del problema e politiche in Europa
I cittadini europei dimostrano una crescente consapevolezza della crisi ambientale causata dalla plastica. Recenti sondaggi mostrano che il 92% dei cittadini approva le misure volte a ridurre i prodotti in plastica monouso, l’87% è preoccupato per l’impatto della plastica sull’ambiente, il 74% è preoccupato per la propria salute. Grazie all’informazione diffusa – che in Italia manca, poiché i media generalisti sono a guinzaglio dei grandi investitori pubblicitari – sul ‘guaio microplastiche’.
Le microplastiche sono ubiquitarie e pericolose per la salute umana. Si trovano in atmosfera, come nelle acque a uso irriguo e in quelle potabili. E sono così entrate a far parte della nostra dieta, con un apporto individuale stimato complessivamente in circa 5 grammi la settimana.
Il ‘pacchetto economia circolare’ è la più ampia riforma – realizzata in Unione Europeo nel 2018 e all’avanguardia a livello globale – per attuare la c.d. gerarchia dei rifiuti in diverse filiere industriali. In tale ambito si colloca la ‘strategia per la plastica nell’economia circolare’, tesa a ridurre l’inquinamento da plastica monouso. L’Europa, si noti bene, primeggia nel consumo di materie plastiche. Gli imballi rappresentano il 40% dei consumi e il riciclo è inferiore al 30%.
Oggetti in plastica monouso, la direttiva SUPs
La direttiva (UE) 2019/904 ‘sulla riduzione dell’impatto di determinati prodotti di plastica sull’ambiente’ (Single-Use Plastics Directive, SUPs) ha definito una serie di misure che gli Stati membri dovranno adottare per arginare il problema degli ‘articoli in plastica monouso più comunemente trovati sulle spiagge’.
Il problema dell’inquinamento da plastiche non può evidentemente risolversi con le sole soluzioni proposte da Big Food, come ha anche evidenziato Greenpeace. La plastica va infatti gestita ‘from cradle to grave’ (letteralmente, dalla culla alla tomba). Riferendosi anzitutto ai due primi strumenti citati nella gerarchia dei rifiuti, Riduzione e Riutilizzo.
Il riutilizzo, più volte richiamato nella direttiva SUPs, postula una revisione strutturale dei modelli di produzione e impiego dei beni non durevoli di consumo (es. alimenti e bevande, cosmetici, detergenti) contenuti negli imballaggi. Ed è considerato essere una delle soluzioni più efficaci per affrontare il problema delle materie plastiche monouso. Con tangibili vantaggi economici e benefici ambientali, sociali, culturali.
I vantaggi del riuso superano infatti di gran lunga quelli che possono derivare da altre pratiche. Quali l’aumento dei tassi di riciclaggio, che nella gerarchia dei rifiuti si colloca in posizione subordinata al riutilizzo. O l’alleggerimento degli imballaggi, o la semplice sostituzione dei polimeri da petrolio con le bioplastiche. A seguire, alcuni esempi.
#BreakFreeFromPlastic, #RethinkPlastic, il rapporto
Il rapporto poc’anzi pubblicato dal movimento Break Free From Plastic Europe e l’alleanza di ONG europee Rethink Plastic mostra l’effettiva possibilità di sostituire la plastica monouso, in numerosi casi, con imballi riutilizzabili. Lo studio si focalizza su alcuni articoli in plastica monouso, considerati dalla direttiva SUP, a tutt’oggi ampiamente utilizzati nella vendita al dettaglio di alimenti e bevande.
1.A) Tazze monouso per bevande, lo status quo
Le tazze monouso in polistirene espanso (EPS) sono bandite dalla direttiva SUPs a partire dal luglio 2021. Entro la stessa data tutte le tazze monouso per bevande dovranno riportare un marchio che indichi la presenza di plastica, la modalità corretta di gestione del relativo rifiuto, il potenziale impatto ambientale negativo in caso di smaltimento inappropriato. Gli Stati Membri hanno anche il dovere di ridurne drasticamente il consumo entro il 2026.
Si trovano ora in commercio tazze in plastica (polistirene o polipropilene) o in cartone, foderato internamente con polimeri. Ovvero tazze ‘alternative’ in bioplastica (es. PLA). La direttiva SUPs, o SUPD (Single-Use Plastics Directive), esclude tuttavia dal proprio campo di applicazione i soli polimeri naturali, vale a dire non modificati chimicamente. E le plastiche biodegradabili e compostabili – se pure derivate (in tutto o in parte) da fonti rinnovabili – sono realizzate con polimeri modificati chimicamente, perciò vietate.
I costi di una tazza monouso da 300ml variano da €0,02 (polistirene), 0,03 (polipropilene, PP), 0,05 (carta accoppiata), 0,07 centesimi (PET, PLA).
I consumi sono straordinari, 2,8 miliardi di tazze da caffè monouso l’anno in Germania, 3 miliardi in Regno Unito. Meno del 1% delle tazze viene riciclato, a causa delle difficoltà di separazione del rivestimento in plastica dalla carta.
Gli stessi articoli in formato riutilizzabile sono realizzati in plastiche (polipropilene), acciaio inossidabile o vetro. Per i coperchi si utilizzano in genere silicone o plastica. I costi variano in relazione a materiale e dimensione. Vi sono poi soluzioni riutilizzabili per un periodo limitato. Come le tazze in polistirene (lavabili fino a 100 volte, € 0,30 ca.) e quelle in policarbonato (500 cicli di lavaggio, € 0,65).
1.B) Tazze monouso per bevande, la soluzione
‘ReCup’ è il sistema di deposito con cauzione (DRS, Deposit-Refund System) adottato in Svizzera e Germania, a cui partecipano quasi 3.000 distributori in oltre 450 città. I cittadini, dopo avere pagato € 1 di cauzione per ogni tazza, ne ottengono il rimborso quando il contenitore viene restituito a uno dei molti fornitori (reperibili anche attraverso una App). Mezzo milione di queste tazze, che possono venire riutilizzate fino a 500 volte, sono ora in circolazione.
In Inghilterra, una simile iniziativa è stata implementata con la tecnologia RFID (Radio-frequency identification). È così possibile seguire distribuzione, cicli di lavaggio, restituzioni. Il sistema è già diffuso in uffici, campus universitari, aeroporti ed eventi pubblici. Da giugno a settembre 2019, oltre 100mila utilizzi.
2.A) Contenitori per bevande, il problema
I contenitori per bevande dovranno venire ri-progettati entro il 2024, secondo la SUPD, affinché i tappi restino vincolati alle bottiglie dopo l’utilizzo. Le bottiglie in PET (quelle in uso per acqua minerale e bevande gassate) dovranno venire composte da una crescente quota di plastica riciclata (>25% entro il 2025, >30% al 2030).
La raccolta differenziata dovrà a sua volta raggiungere il 77% (in peso) delle bottiglie immesse in commercio entro il 2025, il 90% al 2029.
Bottiglie e tappi in plastica sono gli oggetti più diffusamente abbandonati sulle spiagge europee. Il consumo annuale di bottiglie monouso per bevande in Europa è stimato in 46 miliardi di unità. L’Italia svetta, a causa del primato globale nel consumo di acqua minerale in bottiglia (13,5 miliardi di litri, pari a 224 litri a testa, a cui si sommano 1,5 miliardi di litri esportati). Il parco italiano di bottiglie in plastica è pari a 11 miliardi di pezzi, di cui l’80-90% finisce in termovalorizzatori, inceneritori, discariche. Oltreché venire disperso nell’ambiente.
Produrre una bottiglia in PET monouso da 500ml ha costi variabili nelle diverse regioni, con una media stimata in € 0,04. E un contenitore riutilizzabile in vetro può costare 12 volte tanto (€ 0,50). Il PET Ma le soluzioni riutilizzabili oggi proposte possono prevedere anche l’uso di PET, in un formato ovviamente più resistente rispetto alle monouso.
2.B) Contenitori per bevande, la soluzione
In Germania, su ogni bottiglia in vetro e plastica riutilizzabile è applicato il ‘pfand’, vuoto con cauzione. Una cauzione di € 0,08 o 0,15 sulle bottiglie di birra (33-50 cl), a seconda del tipo di vetro, e € 0,15 per la plastica rigida riutilizzabile. Un sovrappeso di € 0,25 invece si applica alle bottiglie non riciclabili (dotate di diverso logo).
Tutti gli esercizi che vendono bottiglie con ‘pfand’ devono accettarne i vuoti, quand’anche la singola bottiglia sia stata acquistata altrove. Le bottiglie di vetro sono soggette in media a 50 cicli di lavaggio, quelle in plastica a 25 cicli. Il tasso di riconsegna dei contenitori, grazie a questo sistema, ha raggiunto il 99%.
L’impatto ambientale delle bottiglie ricaricabili, oltretutto, è inferiore rispetto a quello dei corrispondenti articoli in plastica monouso. Anche dal punto di vista della c.d. impronta di carbonio:
- 68,7 kg CO2e/1000 litri per i contenitori in PET ‘ricaricabile’,
- 85 kg CO2e/1000 l il vetro,
- 139kgCO2e/1000 l i contenitori in PET monouso.
3) Contenitori alimentari, problema e soluzione
I contenitori per alimenti in polistirene espanso (EPS) – quelli tradizionalmente impiegati nei fast food – sono vietati, dalla SUPD, a partire dal luglio 2021. EPS e polipropilene (PP) sono i materiali più diffusi per realizzare i contenitori, spesso sono dotati di copertura in PVC o polietilene. Carta e cartone accoppiati sono viceversa usati in prevalenza per i coperchi dei contenitori da asporto in alluminio.
Il costo commerciale di un contenitore per alimenti da 700ml varia in genere da €0,20 a 0,80, a seconda del materiale. L’Italia – assieme a Regno Unito, Germania, Francia e Spagna – si trova tra i primi 13 Paesi al mondo per consumo di pasti da asporto. Il 50% dei contenitori in polistirene espanso viene incenerito, la quasi totalità della quota restante finisce in discarica.
Plastiche resistenti a più cicli di impiego (come il polibutilene tereftalato, PBT), vetro e acciaio inossidabile sono invece i materiali più diffusi per i contenitori riutilizzabili.
‘Recircle’ è il sistema di riuso dei contenitori adottato in Svizzera, ancora una volta basato sul deposito con cauzione. I clienti di bar, locali, ristoranti e take-away che aderiscono a Recircle possono di fatto ‘noleggiare‘ un contenitore da asporto, lasciando un deposito di 10 CHF. Al momento della restituzione, l’utente può chiedere la restituzione dei 10 CHF ovvero ottenere un contenitore pulito da usare per il pasto successivo. I locali aderenti sono oltre 800, 70.000 i contenitori riutilizzabili in circolazione.
4) Piatti e posate in plastica
Piatti e posate in plastica monouso sono vietati dalla direttiva SUPs a decorrere dal luglio 2021. Questa misura aveva raccolto vivaci proteste in Italia, che è leader europeo nel consumo ma anche nella produzione. Tali oggetti si trovano peraltro al settimo posto tra gli articoli monouso più frequentemente rinvenuti sulle spiagge. E la ONG ‘Ocean Conservancy’ indica le posate come il rifiuto plastico più micidiale uccelli marini, mammiferi e tartarughe.
Le posate in polistirene costano in media € 0,15 ciascuna, 0,45 il set di coltello, forchetta e cucchiaio. Almeno 10 volte in meno rispetto alle alternative riutilizzabili, in acciaio o bambù. I piatti monouso a loro volta, in polistirene o carta accoppiata a un polimero, hanno un costo medio di €0,05. Le alternative monouso in materiali compostabili, del resto, non rappresentano una soluzione alla crisi ecologica poiché il breve ciclo di vita associato al consumo non giustifica il dispendio di risorse necessario alla produzione.
‘LessMess’ e ‘ReCircle’ sono i sistemi adottati in Regno Unito e in Germania per il deposito con cauzione di stoviglie riutilizzabili. L’utente versa il deposito quando riceve il pasto e ne ottiene il rimborso a seguito della restituzione, dopo il consumo. Il sistema è molto efficace anche ai festival e agli eventi all’aperto, laddove le stoviglie riutilizzabili vengono messe a disposizione di tutti i ristoratori presenti i quali si riferiscono a un servizio centrale di lavaggio di riconsegna.
Conclusioni provvisorie
La gestione degli imballaggi alimentari è destinata a una trasformazione radicale e irresistibile. Le tasse sugli articoli monouso sono il primo passo necessario a stimolare una svolta. Devono però venire accompagnate da incentivi tangibili per i consumAttori stessi, quali una riduzione dell’IVA sui prodotti alimentari venduti e serviti in imballaggi riutilizzabili. Solo così essi potranno venire motivati a cambiare il modello di consumo, senza tra l’altro che il gettito fiscale si riduca in misura rilevante nella fase di avvio.
Gli operatori economici del resto possono già beneficiare di crediti d’imposta significativi su investimenti in ricerca e sviluppo. Il governo dovrà piuttosto sbrigarsi nel dare attuazione agli incentivi previsti dal decreto crescita a favore di PMI e startup innovative. E soprattutto attuare il Codice del Terzo Settore, affinché siano proprio gli ETS a guidare l’innovazione sociale verso modelli di sviluppo sostenibile e partecipativo improntati all’economia circolare.
L’analisi dei vari progetti sopra accennati mostra un potenziale di crescita – anche dal punto di vista economico e occupazionale, nei vari distretti territoriali – che non può venire trascurato per convenienze elettorali di breve termine né per carenza di visione da parte degli operatori interessati. Per una volta tanto, anche in Italia, si dovrebbe condividere una strategia a livello di sistema-Paese.
I consumatori dovranno imparare ad accettare imballaggi lievemente usurati, ma non perciò meno sicuri, per cibi ottimi e convenienti. Le industrie potranno dedicare la ricerca e lo sviluppo all’individuazione di materiali durevoli, facili da lavare e igienizzare, rigorosamente Made in Italy. E nuove imprese, anche sociali, potranno sviluppare servizi ecologici di lavaggio, trasporto e deposito a favore dei settori pubblico e privato. Mitigandone l’impatto idrico e ambientale mediante l’impiego di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili e l’uso di veicoli elettrici, ad esempio.
Dario Dongo e Luca Foltran
Note
(1) V. dir. UE 2019/904, ‘sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente’, https://eur-lex.europa.eu/eli/dir/2019/904/oj?locale=it
(2) S. Miller, M. Bolger, L. Copello (2019). Reusable solutions: How governments can help stop single-use plastic pollution. 3Keel, Oxford, United Kingdom. A study by the Rethink Plastic alliance and the Break Free From Plastic movement. https://plasticchange.org/wp-content/uploads//2019/10/reusable_solutions_how_governments_can_help_stop-single_use_plastic_pollution.pdf