La recente operazione di marketing di Ferrero – ‘Ti amo Italia’ di Nutella, Special Edition (1) – non è stata gradita dal Bio-distretto della via Amerina e delle Forre. Il quale denuncia l’impatto su ambiente e salute delle monocolture intensive di nocciole con largo impiego di pesticidi.
Sull’impatto ambientale dei noccioleti italiani, intanto, la Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, per l’inquinamento causato dell’agricoltura intensiva al lago di Vico (sempre nel Viterbese, Lazio). La conversione al biologico è l’unica soluzione possibile.
L’invasione dei noccioleti
L’immagine di Civita di Bagnoregio, piccolo borgo laziale che rappresenta la fragilità dell’equilibrio fra la natura e l’opera dell’uomo, viene sfruttata da Ferrero su alcuni vasetti di Nutella. Il motivo è presto detto. Ma i protagonisti dell’agricoltura contadina – impegnati da decenni per la salvaguardia di ambiente, salute e biodiversità – si ribellano. Ferrero ha incitato alla monocoltura intensiva di nocciole in intere zone della Tuscia senza far nulla, nei protocolli e nell’azione concreta, per prevenire l’avvelenamento con agrotossici di suolo, acque e aria.
Uno scenario simile ha ormai stravolto anche i paesaggi della provincia di Orvieto.
‘Sembra un cimitero. E se sembra un cimitero, dobbiamo celebrare un funerale. Ma che sia un funerale pieno di vita!’ (Alice Rohrwacher, regista)
‘Omelia contadina’ è il cortometraggio di Alice Rohrwacher e l’artista francese JR, presentato in anteprima alla 77a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il 7.9.20. È ‘un’azione cinematografica’ per sostenere la lotta dei piccoli agricoltori e dei cittadini dell’Altopiano dell’Alfina – una zona di confine tra Lazio, Umbria e Toscana – da cui proviene la regista stessa, figlia di un apicoltore locale. Affinché si sappia come la monocoltura di nocciole, a perdita d’occhio, stia devastando e avvelenando un’area ad alta biodiversità. E non solo.
Brama di nocciole
L’Italia è il secondo produttore di nocciole al mondo, con il 12% della produzione globale, dopo la Turchia. Ma lo sfruttamento minorile nelle piantagioni turche è destinato a provocare, prima o poi, una reazione dei consumAttori e degli stakeholder, si spera almeno.
Ferrero, primo utilizzatore di nocciole a livello planetario, ha perciò bisogno di poter accedere a forniture alternative. Non solo nella ex-Yugoslavia, ove pure ha già da tempo investito, ma anche in Italia. Ferrero Hazelnut Company ha così lanciato nel 2018 il ‘Progetto Nocciola Italia’. Guardando soprattutto al Lazio (ove già esiste una zona vocata) e all’Umbria, ma anche a Lombardia, Basilicata e altre Regioni italiane. L’obiettivo del colosso di Alba è raggiungere, entro il 2025, 20.000 ettari di noccioleti italiani, impegnandosi ad acquistare il 75% della produzione.
Questioni ambientali
La nocciola è un prodotto tipico di alcune zone, come il viterbese, ma la straordinaria pressione della domanda comporta il rischio di deturpare paesaggi e minacciare la biodiversità per gli equilibri in in nome della monocoltura intensiva. Con l’ulteriore rischio di dover forzare la produzione con largo impiego dell’agrochimica in aree come l’Umbria e la Toscana ove territorio e clima possano risultare naturalmente favorevoli alla coricoltura (la coltura delle nocciole).
La domanda di elevate quantità di nocciole con determinati requisiti fissati unilateralmente dal colosso di Alba, senza definire buone prassi agricole improntate ai criteri dell’agroecologia comporta perciò il serio rischio di uso incontrollato di pesticidi, fungicidi e fertilizzanti di sintesi.
Pesticidi e altri agrotossici
La letteratura scientifica sui rischi per la salute pubblica e l’ambiente associati all’impiego dei pesticidi e altri agrotossici in agricoltura è ormai sovrabbondante. Ed è perciò tra l’altro che la strategia Farm to Fork (f2f), presentata dalla Commissione europea il 20.5.20, indica l’obiettivo di estendere l’agricoltura biologica al 25% della SAU (Superficie Agricola Utilizzata) in Unione Europea.
I rischi riguardano gli utilizzatori, i bambini, le comunità locali e i consumatori. Le monocolture oltretutto aumentano il rischio di diffusione di patogeni (che si propagano più facilmente tra piante uguali e vicine) e l’impiego dell’agrochimica impoverisce il suolo, danneggiando il suo humus.
Il diserbo chimico priva inoltre il terreno delle sue naturali protezioni dagli agenti atmosferici. Se è troppo caldo il suolo si inaridisce, se piove si formano solchi lungo cui scorre l’acqua piovana, trascinando verso fiumi e bacini idrici i residui chimici nocivi.
Irrigazione artificiale e perdita di biodiversità
La monocoltura intensiva di nocciolo al di fuori dei terreni naturalmente vocati – zone collinari interne, con climi freschi e umidi – postula il ricorso ai fertilizzanti ma anche all’irrigazione artificiale. Con uno sfruttamento delle risorse idriche, da ruscelli che si prosciugano e falde acquifere che si impoveriscono.
I noccioleti stanno poi soppiantando non solo altre coltivazioni, ma anche boschi, castagneti, pascoli o campi incolti. Il paesaggio si modifica, con ripercussioni anche sul turismo le cui attrattive sono spesso legate a paesaggi bucolici e naturali. Con pregiudizio anche alle piccole aziende agricole locali la cui economia è basata sulla qualità e tipicità dei prodotti, in un percorso di transizione ecologica orientato verso le produzioni bio.
Inquinamento delle acque potabili
Gli agricoltori e le comunità dell’altopiano dell’Alfina sono allarmati dal rischio di inquinamento che può derivare dall’invasione dei noccioleti. E ne hanno ben ragione, visto quanto accaduto nel vicino lago di Vico. L’agricoltura intensiva ha infatti innescato un fenomeno di eutrofizzazione del bacino idrico. L’afflusso nel lago di quantità eccessive di nutrienti (azoto e fosforo in primis) ha comportato lo sviluppo smisurato di alghe – in particolare l’alga rossa, un cianobatterio naturalmente presente nelle acque dei laghi – con grave pregiudizio alla salubrità e potabilità delle acque.
‘L’Altopiano dell’Alfina è una riserva idrica che rifornisce di acqua potabile diversi comuni, tra cui la cittadina di Orvieto, e le cui acque alimentano il lago di Bolsena’ (Gabriele Antoniella, laureato in scienze forestali e dottorando all’Università della Tuscia, membro delle associazioni Comunità Rurale Diffusa e Quattro Strade).
Il lago di Bolsena è a sua volta minacciato dall’agricoltura intensiva. Il suo stato di salute è peggiorato negli ultimi anni, con una valutazione complessiva passata dal livello buono a quello sufficiente. Il suo ulteriore degrado, nel fragile equilibrio dell’ecosistema, espone così a rischio anche la potabilità delle acque.
Lago di Vico, procedura di infrazione UE
ISDE – l’Associazione dei medici per l’ambiente – di Viterbo ha diffuso notizia, il 25.9.20, della procedura di infrazione avviata dalla Direzione Generale Ambiente, Qualità della vita, Qualità dell’acqua della Commissione Europea nei confronti della Repubblica italiana. Proprio a esito della denuncia di ISDE sull’inquinamento del lago di Vico e la qualità delle acque ivi captate, che forniscono gli acquedotti di Caprarola e Ronciglione.
‘La Commissione europea è a conoscenza delle questioni da Voi sollevate e della potenziale violazione del diritto dell’UE in relazione alla qualità dell’acqua potabile. È stata avviata una procedura d’infrazione per garantire la conformità al diritto dell’UE (procedura 2014/2015) e al momento è in corso una valutazione della risposta delle autorità italiane al parere motivato inviato loro il 25 gennaio 2019’.
Comunità locali, le reazioni
I Comuni laziali del Bio-distretto della Via Amerina e delle Forre hanno adottato varie ordinanze per garantire il rispetto di ambiente e salute umana, prescrivendo il rispetto delle norme in materia di fitofarmaci, pesticidi e irrigazione. Chiamano in causa Ferrero – affinché consideri l’impatto ambientale dei nuovi impianti e si impegni per orientare le produzioni verso il biologico, l’unica soluzione possibile – e alle autorità di controllo per la verifica di effettiva applicazione delle ordinanze.
Le comunità locali, cittadini e agricoltori si mobilitano a loro volta per proteggere i territori. La Comunità Rurale Diffusa opera dal 2017 nell’ampio territorio di confine tra Lazio, Umbria e Toscana. In sinergia, tra gli altri, con Ripa (Rete interregionale per la protezione ambientale) – a Capranica, vicino al lago di Vico – e l’associazione Quattro Strade. Anche nelle Marche si attivano presidi di tutela rispetto alla corilicoltura intensiva nell’area di Tolentino.
Quali soluzioni?
La produzione di nocciole è di per sé redditizia, avendo costi di impianto relativamente bassi (stimati in circa 1.200-1.400 euro per ettaro). Il suo impatto ambientale è potenzialmente inferiore ad altri alberi da frutto e alla vite.
Ma il problema di questa come di altre monocolture è l’assoluta mancanza di una visione di filiera orientata verso il sistema biologico.
I dati sui consumi di pesticidi mostrano il loro persistente abuso in Italia, rispetto alla media europea. (2) Il rapporto ISPRA 2018 sul monitoraggio della qualità delle acque ha rivelato la presenza di pesticidi nel 67% dei campioni di acque superficiali e nel 33,5% di quelle sotterranee. È indispensabile invertire la rotta.
La biodiversità deve poi venire garantita seguendo l’esempio svizzero. Lo standard Bio Suisse prevede un’aliquota minima di aree che devono venire lasciate alla loro spontaneità naturale, pari al 7% della SAU. Servono consapevolezza e condivisione, formazione e controlli, garanzie obiettive e verificate. E i consumAttori, ancora una volta, possono fare la differenza. Lasciando a scaffale i prodotti insostenibili e mettendo nel carrello solo quelli che davvero rispettano i più rigorosi criteri di sostenibilità. Le scelte di acquisto responsabili determineranno per forza il cambiamento dell’offerta. Senza olio di palma.
Dario Dongo e Carolina Peciola
Note
(1) Progetto Nocciola Italia. Il lancio del progetto da parte di Ferrero Hazelnut Company, Divisione del Gruppo Ferrero, su https://www.progettonocciolaitalia.it/index.html
(2) L’Italia è stata il primo a introdurre, in teoria, l’obbligo di applicare la lotta integrata in agricoltura. Senza tuttavia garantirne l’applicazione. V. https://www.greatitalianfoodtrade.it/progresso/agricoltura-sostenibile-l-abc