Si apprende con curiosità come il governo del ‘cambiamento’ – al pari dei precedenti d’ogni fede e colore – abbia eseguito gli ordini di Coldiretti in tema di etichettatura d’origine delle materie prime. Ancora una volta però lo strumento normativo è inadeguato e illegittimo. Fumo negli occhi, fake news. Per tutelare il Made in Italy rispetto a contraffazioni e Italian sounding bisogna agire a livello UE, ecco come.
Decreto ‘semplificazioni’, etichettatura d’origine. Analisi del testo
Nel c.d. decreto ‘semplificazioni’, ironia della sorte, è stata inserita una norma che introduce nuove complessità e contrasti con il diritto UE, in tema d’indicazione d’origine in etichetta. (1) Soprattutto – a differenza di quanto falsamente comunicato dalla politica e il mainstream media – le previsioni in tema di etichettatura d’origine sono prive di alcuna concretezza. Si procede all’esame del testo, per mettere fine al gigantesco equivoco. Come Massimo Troisi nel celebre film, ‘Ricomincio da tre’.
1) ‘Con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e il Ministro della salute, previa intesa con la Conferenza unificata (…), sentite le organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale nei settori della produzione e della trasformazione agroalimentare e acquisiti i pareri delle competenti Commissioni parlamentari, previo espletamento della procedura di notifica di cui all’articolo 45 del regolamento (UE) n. 1169/2011 (…) sono definiti, per le finalità di cui alle lettere b), c) e d) del paragrafo 1 dell’articolo 39 del medesimo regolamento [protezione consumatori, prevenzione frodi, tutela diritti proprietà intellettuale e indicazioni di provenienza, ndr] i casi in cui l’indicazione del luogo di provenienza è obbligatoria.’ (Nuovo comma 3, da inserire all’articolo 4 della legge 4/11. V. nota 2)
Di fatto, il Parlamento delega il governo a definire in quali casi potranno venire aggiunte informazioni obbligatorie supplementari (rispetto a quelle stabilite in UE) sulle etichette dei soli prodotti Made in Italy destinati al mercato nazionale. Per esigenze legate a tutela dei consumatori, prevenzione frodi, tutela dei diritti di proprietà intellettuale.
Il governo, in accordo con la Conferenza Stato-Regioni, potrà procedere all’adozione di appositi decreti legislativi seguendo un’apposita procedura:
– consultazione delle rappresentanze di filiera e delle Commissioni parlamentari competenti,
– notifica preventiva alla Commissione europea (e sospensione delle attività, in attesa del via libera di Bruxelles).
2) ‘Con il decreto di cui al comma 3 sono individuate le categorie specifiche di alimenti per le quali è stabilito l’obbligo dell’indicazione del luogo di provenienza. Ai sensi dell’articolo 39, paragrafo 2, del regolamento (UE) n. 1169/2011, il Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo, in collaborazione con l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA), assicura la realizzazione di appositi studi diretti a individuare la presenza di un nesso comprovato tra talune qualità degli alimenti e la relativa provenienza nonché a valutare in quale misura sia percepita come significativa l’indicazione relativa al luogo di provenienza e quando la sua omissione sia riconosciuta ingannevole. I risultati delle consultazioni effettuate e degli studi eseguiti sono resi pubblici e trasmessi alla Commissione europea congiuntamente alla notifica del decreto di cui al comma 3.’
Qualora il governo intenda introdurre a livello nazionale nuovi obblighi d’indicazione di origine o provenienza delle materie prime, sulle etichette di una o più specifiche categorie di prodotti Made in Italy destinati al territorio nazionale, dovrà giustificare tale misura con appositi studi. Rivolgendosi all’ISMEA (MiPAAFT), per dimostrare che:
– esiste un nesso tra la qualità di un alimento (es. legumi, frumento) e la sua origine o provenienza,
– gli italiani attribuiscono effettivo valore all’informazione relativa all’origine o provenienza di tali alimenti. (3)
Tali condizioni sono invero prescritte dal ‘Food Information Regulation’, secondo cui ‘gli Stati membri possono introdurre disposizioni concernenti l’indicazione obbligatoria del paese d’origine o del luogo di provenienza degli alimenti solo ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza. Al momento di notificare tali disposizioni alla Commissione, gli Stati membri forniscono elementi a prova del fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni’ (reg. UE 1169/11, art. 39.2).
3) ‘L’indicazione del luogo di provenienza è sempre obbligatoria, ai sensi dell’articolo 26, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (UE) n. 1169/2011, quando sussistano le condizioni di cui all’articolo 1 del regolamento di esecuzione (UE) 2018/775 della Commissione, del 28 maggio 2018.
Si ripete quanto già previsto dal ‘Food Information Regulation’, nella parte in cui si prescrive di indicare in etichetta il Paese di origine o il luogo di provenienza ‘nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza’ (reg. UE 1169/11, articolo 26.2.a).
Si sarebbe invece dovuto rafforzare il concetto, spiegando che l’obbligo di precisare origine o provenienza ricorre anche qualora la suggestione di un’origine diversa da quella reale venga offerta attraverso testi o immagini contenute in un marchio registrato (un grande classico nel c.d. Italian sounding. Si veda a es. il marchio tricolore ‘Miracoli’ di Kraft Foods). Sulla base di un’interpretazione che proprio chi scrive è riuscito a ottenere dal Commissario Vytenis Andriukaitis, mediante interrogazione scritta a firma di Elisabetta Gardini.
‘La difformità fra il Paese di origine o il luogo di provenienza reale dell’alimento e quello evocato dall’apposizione di informazioni di cui al predetto articolo 1 del regolamento (UE) 2018/775, anche qualora risultino ottemperate le disposizioni dell’articolo 26, paragrafo 3, del regolamento (UE) n. 1169/2011, si configura quale violazione di cui all’articolo 7 del medesimo regolamento (UE) n. 1169/2011, in materia di pratiche leali d’informazione’.
Il legislatore italiano vieta così ogni tipo di evocazione di Paese d’origine e/o luogo di provenienza diversi da quelli effettivi, a prescindere dal fatto che questi ultimi vengano specificati in etichetta. Una presa di posizione molto interessante, che metterebbe fuorilegge all’istante numerosi prodotti (es. polenta Valsugana da mais d’incerta origine, lenticchie canadesi di Colfiorito). Peccato soltanto che si tratti di una norma inapplicabile poiché in palese contrasto con il regolamento europeo a cui è riferita.
Decreto ‘semplificazioni’, etichettatura d’origine. Conclusioni
Nessun nuovo obbligo di indicazione dell’origine dei prodotti e/o provenienza delle loro materie prime è stato introdotto nella legge di conversione del ‘decreto semplificazioni’. A differenza di quanto falsamente riferito nei comunicati stampa di Coldiretti e in quelli istituzionali, il fatidico ‘ricomincio da tre’ si limita infatti a delegare il governo a considerare l’introduzione di nuovi obblighi in tal senso. I quali potranno venire stabiliti in futuro, per specifici alimenti o loro categorie, attraverso decreti legislativi (in virtù della citata delega), senza bisogno di ricorrere a leggi ordinarie. Tali decreti dovranno in ogni caso rispondere ai requisiti fissati dal ‘Food Information Regulation’:
– prova del legame tra qualità e origine o provenienza,
– prova dell’interesse ai consumatori a conoscere tale notizia,
– notifica preventiva di ciascun decreto alla Commissione europea e attesa del nulla-osta di Bruxelles prima di definire l’iter legis.
L’unico elemento di novità è rappresentato dal divieto di evocare un’origine o provenienza diversa da quella reale, quand’anche quest’ultima sia specificata in etichetta. Tale divieto però interviene su una fattispecie già diversamente regolata dal ‘Food Information Regulation’ ed è quindi inapplicabile. A maggior ragione in quanto anche il governo in carica, al pari dei precedenti, non abbia provveduto alla doverosa notifica a Bruxelles.
Ed è ‘curioso’ che nessuno abbia curato questo non trascurabile dettaglio:
– né gli stolidi politicanti che hanno firmato ‘a occhi chiusi’, a Montecitorio e Palazzo Madama, quanto ordinato da Coldiretti,
– né il solerte Quirinale, da cui pure era partito l’ordine di stralciare numerosi emendamenti al ‘decreto semplificazioni’ (es. misure di sostegno ai contadini pugliesi afflitti da recenti gelate) per ipotetiche questioni di ‘legittimità costituzionale’,
– né infine, ça va sans dir, da una stampa generalista e di settore che come un disco rotto continua a riproporre fake news.
Origine alimenti e materie prime, la strada da seguire
Coldiretti deve cambiare strategia. 15 anni di vivaci dibattiti sull’argomento sono serviti a sensibilizzare i cittadini e gli operatori sul valore essenziale dell’integrità della filiera sul territorio, in Italia e in Europa. Ma non si può andare avanti con misure nazionali inapplicabili, ricordando che la prima procedura di pre-infrazione risale ai tempi di Alemanno (legge 204/04, articolo 1-bis), quella in itinere avrà i marchi Calenda e Gentiloni.
L’azione va ora condotta a livello UE, con la massima determinazione. I tempi sono maturi e l’ampio supporto finora raccolto dalla brillante iniziativa #EatORIGINal! Unmask your food! – che raccoglie il nostro appassionato sostegno – ne offre brillante dimostrazione. Ettore Prandini può rivelarsi l’uomo giusto al momento giusto per lavorare sullo scacchiere europeo. Con l’appoggio degli agricoltori francesi che, si ricorda, già nel 2002 sono riusciti a ottenere il via libera da Bruxelles sull’origine obbligatoria delle carni (sia sulle etichette di prodotti alimentari che le contengano, es. prosciutti e salumi, sia sui menù dei ristoranti). (4)
Bisogna prendere il toro per le corna. Anzitutto, notificare alla Commissione europea una formale richiesta di adempiere entro due mesi al proprio dovere di mettere fine allo scandalo dei marchi commerciali evocativi di falsa origine dei prodotti alimentari. Bruxelles avrebbe già dovuto provvedere in tal senso, secondo quanto previsto nello scandaloso regolamento ‘Origine Pianeta Terra’, OPT. (5) Scaduto il termine, in caso di ulteriore inazione di Bruxelles, entro i due mesi successivi si potrà presentare alla Corte di Giustizia un c.d. ‘ricorso in carenza’. (6) Confermiamo al riguardo la nostra disponibilità a ogni supporto tecnico-legale, d’informazione e stakeholders building.
La prossima Commissione europea dovrà poi venire chiamata a fare ciò che quella guidata da Jean Claude Junker ha dolosamente omesso, nonostante i ripetuti solleciti dell’Assemblea di Strasburgo. (7) Vale a dire, adottare apposite proposte di regolamento per introdurre a livello UE gli obblighi di indicare in etichetta l’origine delle materie prime su:
– carni utilizzate nella preparazione di altri prodotti (es. prosciutti e salumi, lasagne, ragù, etc.),
– alimenti non trasformati, prodotti a base di un unico ingrediente, ingredienti che rappresentino più del 50% di un alimento (verrà così superato il regolamento OPT),
– latte, venduto tal quale e come ingrediente di prodotti,
– carni di origine finora ignota (es. equini, lepri e conigli, selvaggina, struzzi, insetti (8) allorché ammessi come Novel Food).
Sarà essenziale garantire, nei suddetti regolamenti, che il livello di precisione geografica (es. nazionale, regionale, territoriale) prescritto per comunicare l’origine o provenienza delle materie prime sia lo stesso utilizzato per designare l’origine dei prodotti.
Coldiretti dovrà infine affrancarsi dalla dipendenza ideologica da Ferrero, smettere di combattere le politiche sanitarie internazionali atte a mitigare l’obesità e riavvicinarsi ai ConsumAttori che chiedono cibi sani, come la terra da sempre offre. Valorizzare perciò i prodotti della prima trasformazione industriale, al pari dell’ortofrutta, anche dal punto di vista delle prerogative nutrizionali e salutistiche.
Dario Dongo
Note
(1) La norma in questione è stata inserita, sotto forma di emendamento, nel testo di conversione del decreto-legge in apposita legge parlamentare. V. ‘Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 dicembre 2018, n. 135, recante disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione‘, su http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/testi/51070_testi.htm
(2) Il testo dell’emendamento è disponibile su http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01098486.pdf
(3) Il ‘Paese d’origine’ è quello ove il prodotto è stato interamente realizzato. Quando la lavorazione abbia avuto luogo su più territori nazionali, l’origine si identifica nel Paese ove è stata realizzata l’ultima trasformazione sostanziale (così ad esempio è italiana l’origine di una semola molita in Italia, se pure il frumento provenga da altro Paese).
Il ‘luogo di provenienza’ è invece ‘qualunque luogo indicato come quello da cui proviene l’alimento, ma che non è il «paese d’origine»’ (cfr. reg. UE 1169/11, articolo 2)
(4) Si veda la nota 4 al precedente articolo https://www.foodagriculturerequirements.com/archivio-notizie/origine-carni-bovine-al-ristorante-lo-schema-di-decreto-legge-del-consorzio-l-italia-zootecnica-analisi-di-dettaglio_1
(5) V. reg. UE 2018/775
(6) Cfr. TFUE 265, 266
(7) Si vedano i precedenti articoli https://www.foodagriculturerequirements.com/approfondimenti_1/etichettatura-d-origine-prosegue-il-dibattito-tra-commissione-e-parlamento-europeo, https://www.foodagriculturerequirements.com/approfondimenti_1/origine-del-latte-le-risoluzione-di-strasburgo
(8) L’allevamento d’insetti potrebbe consentire a molti agricoltori, con investimenti e impegni relativamente modesti in piccoli spazi coperti, di realizzare marginalità utili a compensare la minore redditività di alcune colture tradizionali. Proprio in Italia tra l’altro opera una delle prime start-up che ha sviluppato moduli produttivi a elevata automazione per l’allevamento di grilli https://www.cuneocronaca.it/farina-di-grilli-allevati-a-bra-nuova-frontiera-del-cibo-raggiunta-da-due-giovani

Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.