La reazione dei consumAttori europei alla denuncia degli orrori legati alla filiera dell’olio di palma ha costretto i palmocrati a insistere nella strategia di disinformazione. Alcuni dati concreti sulla situazione in Indonesia possono aiutare a comprendere la realtà.
Il palma è in vetta alla classifica dei consumi globali di oli vegetali. 68 milioni di tonnellate nel 2015-2016 (61 palma, 7 palmisto), con previsione di crescita a 71 nel 2016-2017 (1)
Un dato che non sorprende, vista l’ampiezza del suo impiego in alimenti e cosmetici, igiene personale e domestica, farmaci. Oltre agli utilizzi industriali, e al ‘bio’-diesel. (2)
Le coltivazioni di palma, a differenza di altre fonti di oli vegetali, richiedono un clima tropicale (2000-4000 mm di precipitazioni annue, suoli con pH variabile tra 4 e 6). Ciò spiega perché Indonesia e Malesia siano i due primi produttori (85% della produzione globale), rispettivamente con 31,5 (3) e 19 milioni di tonnellate. A larga distanza seguono Thailandia (2,2 mln ton), Colombia (1,2 mln ton), Nigeria (0,93), Papua New Guinea (0,7), Ecuador (0,6), Honduras e Costa d’Avorio (0,4) Brasile (0,35).
L’Indonesia – grazie al clima tropicale irraggiato da 5-7 ore di sole ogni giorno – è il leader globale della produzione di olio di palma. Che contribuisce all’economia del Paese per circa 20 miliardi di US$ annuali. L’export indonesiano di ‘crude palm oil‘ (CPO) ha raggiunto i 17,8 miliardi di US$. E il suo governo ha pianificato un incremento della produzione in misura del 30%, fino a raggiungere i 40 milioni di tonnellate nel 2020. Accelerando la devastazione dei suoli in nome della monocoltura che già, tra il 2008 e il 2013, è aumentata del 35%. (4)
La produzione di olio di palma in Indonesia è così ripartita:
– grandi piantagioni private (Big Private Plantations, BPP), 52,88%. Secondo Fadhil Hasan, direttore esecutivo della ‘Indonesian Palm Oil Association‘, il settore privato controlla la produzione di olio di palma nel Paese. 25 colossi – tra i quali Golden Agri Resources Ltd., Wilmar International Ltd. e l’americana Cargill International Corp. (5) – gestiscono oltre la metà delle piantagioni. (6)
– piccole coltivazioni private (Smallholder Farmers, SF), 40,49%. Secondo Rizal Ramli, 2 milioni di agricoltori lavorano appezzamenti di superficie inferiore ai 2 ettari (ha),
– grandi colture statali (Big State-Owned Plantations, BSOP), 6.63%.
Gli incendi della foresta tropicale (7) vengono spesso attribuiti ai piccoli agricoltori. Sebbene fonti locali li riconducano ai grandi conglomerati industriali, che in tal modo ottengono enormi appezzamenti di aree coltivabili a costi insignificanti. Bastano 5000 rupie per assoldare un piromane, e a seguito degli incendi i terreni fertili possono venire piantumati facilmente. Con l’aiuto dei pesticidi neurotossici in grado di sterminare ogni altra fonte di vita.
L’impatto sociale e ambientale del ‘Palm Oil Business‘ in Indonesia è sotto gli occhi di chiunque intenda guardare oltre il proprio naso:
– incendi e deforestazioni sono la diretta conseguenza di ogni ampliamento delle colture di palma da olio (8),
– le civiltà indigene radicate nella foresta tropicale vengono sottratte con violenza e inganni (c.d. land grabbing) ai loro luoghi ancestrali. A cui da sempre affidano il sostentamento e la vita stessa (9),
– la biodiversità viene altresì devastata, causando l’estinzione di specie animali ormai rarissime come la tigre e il rinoceronte di Sumatra, gli uccelli di Papua Cendrawasih, orangutan ed elefanti,
– le nubi di fumo causate dagli incendi hanno condotto l’Indonesia al primato globale nell’emissione di gas serra, a partire dal 2015. Provocando migliaia di morti per intossicazioni e malattie respiratorie. Bambini e anziani soprattutto,
– i conflitti sociali sono esacerbati dalle nuove coltivazioni di palma. Tra gli abitanti delle aree coinvolte e le industrie produttrici, e tra queste e i lavoratori.
– Schiavitù moderna. Il lavoro effettivo è altra cosa rispetto a quello previsto nei contratti, che talora neppure esistono. Gli straordinari non vengono remunerati, e la paga giornaliera rasenta i 5 US$. (10) Non abbastanza per mantenere una famiglia, i cui membri sono perciò tutti costretti a lavorare.
– Il lavoro minorile è la diretta conseguenza di quanto sopra. Non a caso le indagini di Amnesty sono state condotte presso piantagioni che forniscono Wilmar, il leader mondiale nella produzione di palma. I bambini arruolati sono figli dei lavoratori, costretti ad aiutare i genitori per raggiungere gli obiettivi di produzione e sbarcare il lunario. Distratti così dalle scuole che peraltro non esistono nella gran parte delle aree prossime alle piantagioni.
Dario Dongo
Si ringrazia il corrispondente in loco Ai Haes, per il contributo alla ricerca delle notizie riportate
Note
1) A seguire soia (51 mln ton nel 2015/2016, 53 previsti nel 2016-2017), colza (28), girasole (15), arachidi (5, con previsione di crescita a 6), cotone (4), cocco e oliva (3). Fonte https://www.statista.com/statistics/263937/vegetable-oils-global-consumption/.
2) La classifica dei consumi è dominata dall’India, cui seguono Indonesia, Unione Europea, Cina, Malesia, Pakistan, Nigeria, Thailandia, Bangladesh, USA
3) Cui si aggiungono 3 milioni di tonnellate di palmisto
4) Da 7,4 a 10 milioni di ettari, nel periodo 2008-2013. Fonte Rahmawati Retno Winarni
5) 21 su 25 di tali gruppi sono quotati in borsa. 11 a Jakarta, 6 a Singapore, 3 a Kuala Lumpur e 1 a Londra
6) 5,1 milioni di ettari, su un totale di 10, secondo il recente rapporto di ‘The Transformation Society for Justice Indonesia‘
7) V. video ‘Burning Sumatra‘, su https://youtu.be/PEKfYZBE14I
8) Si veda il video https://youtu.be/KkLh5SAG_fE
9) Video https://youtu.be/EDapJEZWQV4
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.