L’olio di palma contiene tre sostanze contaminanti tossiche (una delle quali classificata come genotossica e cancerogena), e per tale motivo il consumo di prodotti alimentari con discrete quantità di grasso tropicale viene sconsigliato a bambini e adolescenti1. È quanto si legge nel corposo dossier dell’Autorità per la sicurezza alimentare europea (Efsa), 159 pagine dove si valutano i rischi per la salute legati alla presenza di tre contaminanti che si formano nel processo di raffinazione ad alte temperature (200°C): glicidil esteri degli acidi grassi (GE), 3-monocloropropandiolo (3-MCPD) e 2-monocloropropandiolo (2-MCPD). Il problema riguarda anche alcuni altri oli vegetali e margarine, ma l’aspetto saliente è che il grasso tropicale ne contiene da 6 a 10 volte di più. Gli alimenti sotto accusa sono merendine, biscotti, grissini, cracker, fette biscottate, prodotti da forno e cibi per l’infanzia preparati con il grasso tropicale.
La situazione sembra piuttosto seria. Per i glicidil esteri degli acidi grassi (GE), infatti, non è stata stabilita una soglia di apporto tollerabile, proprio perché trattasi di sostanza cancerogena e genotossica la cui presenza negli alimenti non può venire ammessa. Il ‘panel’ Efsa ha perciò concluso che i GE sono un potenziale problema di salute soprattutto per i bambini e i giovani, e per tutte quelle persone che assumono cibi ricchi di acidi grassi di palma. Le criticità si pongono anche per i bambini che consumano esclusivamente alimenti per lattanti.
L’argomento non è nuovo. L’Efsa riferisce che la quantità di GE negli oli e grassi di palma è stata dimezzata negli ultimi 5 anni, grazie a miglioramenti del processo produttivo. Nello stesso periodo però in Italia il consumo di olio di palma negli ultimi 5 anni è quadruplicato, vanificando così la riduzione dei rischi legati al progresso tecnologico (le importazioni sono passate da 274 mila tonnellate del 2011, a 821 mila tonnellate del 2015 – Istat).
L’Efsa ha poi fissato una dose giornaliera tollerabile (DGT) di 0,8 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo al giorno per il 3-MCPD, in assenza di sufficienti dati tossicologici per stabilire un livello di sicurezza per il 2-MCPD. L’apporto più significativo di tali contaminanti deriva sempre dall’olio di palma e il parere dell’Efsa è altrettanto severo: “le quantità per i bambini e gli adolescenti (fino a 18 anni) superano la dose giornaliera tollerabile e costituiscono un potenziale rischio per la salute”.
Il consumo di olio di palma in Italia ha ormai raggiunto livelli record. In Europa siamo i principali utilizzatori e i consumi sono da record, 12 grammi al giorno pro-capite. Questa criticità è stata evidenziata anche due mesi fa in un dossier dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sull’olio di palma, ove si afferma che i bambini italiani assumono il 49% in più di grassi saturi rispetto a quanto consigliato dai Larn e dall’Efsa e che buona parte dell’eccesso (41% della quantità massima) è dovuto al consumo di olio di palma aggiunto negli alimenti industriali.
L’impiego del grasso tropicale appare sempre meno tollerabile, a dispetto dei massicci investimenti pubblicitari dei suoi produttori e grandi utilizzatori, i quali insistono nell’impossibile difesa della sua presunta sostenibilità e naturalità. E infatti, sia sul fronte industriale che su quello della GDO, gli operatori più attenti alla sensibilità espressa dai consumatori italiani hanno già preso distanza dal palma, ricorrendo a grassi e oli più coerenti con le nostre tradizioni ed esigenze nutritive. Sul mercato ci sono oggi più di 700 prodotti ‘palm free’, grazie anche alla campagna di sensibilizzazione e alla petizione de Il Fatto Alimentare e www.greatitalianfoodtrade.com su Change.org, che ha raccolto oltre 175 mila firme.
Great Italian Food Trade e Il Fatto Alimentare
Note