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EDITORIALE. Expo 2015 Milano, marchi e sostenibilità. In cerca di un nuovo paradigma, dalla CSR alla CSV?

I marchi di certificazione volontaria a vario titolo riconducibili alla sostenibilità – nel senso più ampio del termine – meritano riconoscimento e altrettanta attenzione, ai tempi nostri, in attesa dello sviluppo di un nuovo paradigma. Alcuni spunti di riflessione.

I marchi volontari

Si possono ben apprezzare i marchi volontari disciplinati da regolamenti europei come il logo ‘biologico’, la ‘eco-label’ sui beni di consumo non-alimentari, le designazioni che attestano il legame di alcuni cibi a tradizioni e territori (c.d. ‘Geographical Indications’, es. le DOP, IGP, STG, e le DOCG, DOC, IGT sui vini). Come pure i marchi privati, in particolare quelli che garantiscono la sostenibilità dei prodotti ittici (es. ‘Friends of The Sea’, MSC), quelli legati al rispetto dei lavoratori nell’intero corso della filiera (SA8000), alla tutela dell’ambiente e delle comunità locali (es. UTZ, ‘Friends of Earth’, ‘Rainforest Alliance’,), al ‘fair trade’. Oltre agli standard internazionali come ISO 14000 (in materia ambientale) e ISO 26000 (linee guida per la responsabilità sociale, una sorta di norma-quadro). 

Il monitoraggio

Ed è fondamentale il monitoraggio delle Associazioni dei consumatori e delle ONG, a supporto delle Autorità di controllo, affinché i significati autentici di tali marchi non vengano sviliti o traditi da attività fraudolente. Servono la denuncia, il ‘name & shame’, ma anche punizioni esemplari, per evitare che casi isolati possano compromettere la fiducia dei consumatori verso le filiere di pertinenza.

Corporate Social Responsibility

Non bisogna tuttavia perdere di vista l’integrità complessiva delle imprese che talora impiegano questi e altri marchi al preciso scopo di coprire altre carenze (c.d. greenwashing). Il paradigma della c.d. ‘Corporate Social Responsibility’ – troppe volte abusato da ‘Corporation’ responsabili di gravi colpe, dalla rapina delle terre (land grabbing) a deforestazioni e inquinamento, corruzione, violazione dei diritti sindacali – appare quindi ormai desueto e inadeguato alle legittime aspettative dei consumatori consapevoli.

La creazione di valore condiviso

Philip Kotler ha di recente introdotto il concetto di CSV, ‘Creating Shared Values’. Trattandosi di valori da condividere con comunità di stakeholders quanto più ampie possibile – a tendere verso valori universali – attribuirne la ‘creazione’ a una singola organizzazione non sembra realistico. Preferiamo perciò declinare l’acronimo in ‘Contributing to Shared Values’, e invitare i nostri lettori più attenti ad avviare una preziosa riflessione, che potrà pure considerare alcuni dei temi sviluppati attorno alle c.d. B-Corp (‘Benefit-Corporation’).

(Dario Dongo)

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