Olio vergine o extra vergine d’oliva? La differenza non è di poco conto, poiché esprime qualità e valore di un alimento cardine nella dieta mediterranea. Ma la Corte di Cassazione, Sezione Sesta Civile, perde completamente di vista il diritto alimentare europeo. È bene dunque fare chiarezza sui fondamenti, prima di archiviare un vergognoso precedente che non potrà avere seguito.
Vergine o extra?
Il regolamento (CE) 2568/91 e successive modifiche distingue le varie categorie di oli d’oliva – extra vergine, vergine, olio d’oliva (raffinato), lampante, olio di sansa – sulla base dei requisiti di processo e di prodotto. (1) Entrambi gli oli extra vergine e vergine d’oliva sono ottenuti ‘direttamente dalle olive e unicamente mediante procedimenti meccanici’. (2)
L’extra vergine si distingue tuttavia dal vergine in quanto di ‘qualità superiore’, che si identifica (e va verificata) attraverso una serie di parametri oggettivi:
– criteri chimico-fisici quali acidità (<0,8 vs <2%), etil esteri degli acidi grassi, valori spettrofotometrici (con variazioni decimali i quali esprimono i livelli di ossidazione),
– criteri organolettici. Nell’extra vergine è prescritta la totale assenza di difetti, all’analisi sensoriali del panel di assaggiatori. (3)
L’olio vergine d’oliva è di fatto un olio di seconda classe. Laddove sono ammessi, sia pure entro determinati limiti, alcuni difetti di flavor come riscaldo/morchia, muffa-umidità-terra, avvinato-inacetito-acido-agro, rancido, olive gelate (legno umido). Piuttosto che cotto o stracotto, fieno-legno, grossolano, lubrificanti, acqua di vegetazione, salamoia, metallico, sparto, verme, cetriolo. (4)
Specchietti per le allodole
Le bottiglie di olio extravergine d’oliva (EVOO), da oltre due decenni in Italia, sono in cima alla lista degli specchietti per le allodole. Vale a dire le referenze che le varie catene di supermercati promuovono a prezzi stracciati, anche sottocosto, per attrarre i consumatori presso le proprie insegne.
Questo fenomeno ha esasperato la competizione sull’EVOO nel segmento c.d. ‘primo prezzo’. Con l’aggravante della concorrenza tra IDM (Industria di Marca) e MDD (Marca del Distributore), la cui iniquità è palese ove si consideri l’asimmetria di conoscenza (su catena del valore e dinamica dei prezzi) e di potere, a favore della GDO (Grande Distribuzione Organizzata).
L’allodola è il consumatore, attratto a recarsi presso un supermercato o un ipermercato proprio dall’idea di poter acquistare a un prezzo generalmente stracciato un ‘olio extra vergine d’oliva’. Un’aspettativa legittima a cui deve corrispondere l’adempimento esatto della prestazione promessa. Vale a dire la vendita di un prodotto che effettivamente risponda alle caratteristiche dell’EVOO, come richiamate nel superiore paragrafo.
Chi tutela consumatori e mercato
‘Qualora si constati che un olio non corrisponde alla descrizione della sua categoria, lo Stato membro interessato applica sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive stabilite in base alla gravità dell’irregolarità accertata, ferme restando altre sanzioni eventuali’ (reg. CE 2568/1991, articolo 3.1).
La ‘Repressione Frodi’ (ora ICQRF) e i NAS (Nucleo Anti-Sofisticazioni presso l’Arma dei Carabinieri) hanno sempre svolto e tuttora esercitano un’attività cruciale di vigilanza sul commercio degli oli d’oliva (oltre a vari altri prodotti) sul territorio italiano e talora anche all’estero. (5)
La legge penale trova frequente applicazione in caso di vendita di aliud pro alio, quale ad esempio un olio vergine etichettato come extravergine. Si può invero trattare di una frode in commercio, punita ai sensi del codice penale, articolo 515. Ma le autorità, negli ultimi tempi, hanno privilegiato l’applicazione della sola sanzione amministrativa.
Il procedimento amministrativo è in effetti più rapido, ma le autorità aventi funzione di polizia giudiziaria non possono né devono sottrarsi al dovere di trasmettere la notizia di reato procedibile d’ufficio – quale la frode in commercio – alla competente Procura della Repubblica. Come prescritto dal codice di procedura penale, all’articolo 330.
ICQRF vs PAM, 1-2
I funzionari ICQRF avevano accertato la detenzione per la vendita di fusti di olio vergine di oliva etichettati come EVOO da parte del Gruppo PAM S.p.A.. Anziché trasmettere alla Procura della Repubblica la notizia di reato per frode in commercio, raccogliendo ogni prova documentale utile a valutarne la fondatezza (es. prezzo d’acquisto, criteri adottati per la qualifica del fornitore), ICQRF ha applicato una sanzione amministrativa di € 44.404.
ICQRF ometteva poi di intervenire nel giudizio di opposizione al provvedimento sanzionatorio di cui sopra. E il Tribunale civile di Velletri, nella (colpevole) contumacia del ministero, accoglieva l’opposizione per il più futile dei motivi, la carenza dell’elemento soggettivo. Vale a dire, l’assenza di colpa del distributore nell’avere detenuto per la vendita un prodotto di qualità inferiore a quella dichiarata in etichetta.
Il ministero si risvegliava – dopo aver perso 44 mila euro (sic!) – e presentava ricorso alla Corte d’Appello di Roma. Il giudice di seconde cure dava così ragione alla pubblica amministrazione, ma la sua sentenza veniva impugnata e cassata dal giudice di legittimità. ICQRF – PAM, 1-2.
Cassazione fuori strada
La Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Civile (presidente Pasquale D’Ascola), con ordinanza 9.1.20 n. 10946, ha censurato la sentenza della Corte d’Appello di Roma sopra accennata. Accogliendo la teoria difensiva secondo cui il distributore sarebbe irresponsabile in quanto il fornitore aveva garantito per iscritto il contenuto dei fusti ed essi erano stati reperiti ancora chiusi.
‘Dalla lettura della sentenza impugnata, infatti, non risulta in alcun modo valutata la circostanza evidenziata dai ricorrenti, che pure era idonea ad incidere significativamente sul giudizio di sussistenza della responsabilità per la violazione amministrativa configurata. In proposito, va data continuità al principio secondo cui l’errore sulla liceità del fatto è decisivo e giustifica l’esclusione della responsabilità quando abbia carattere di inevitabilità e dipenda da un elemento o un fatto estraneo all’autore dell’infrazione’ (Cass. Civ., ordinanza 10946/2020)
Completamente fuori strada è finita la Corte di Cassazione. Nell’ignorare platealmente la responsabilità del distributore in ordine alla piena conformità dei prodotti alimentari da esso commercializzati con tutte le norme vigenti. Una responsabilità rafforzata che concorre con quella del produttore (ed eventuali intermediari), affermata con cristallina chiarezza nel regolamento (UE) 1169/11. (6) Un regolamento europeo che nella gerarchia delle fonti di diritto ha rango superiore alle norme costituzionali italiane.
Il giudice di legittimità ha dunque ignorato del tutto il Food Information Regulation. E prima ancora, il diritto alimentare europeo nella sua essenza, a partire dal General Food Law. (7) Che integra il diritto nazionale e va tenuto nella più alta considerazione allorché si debba stimare il livello di prudenza, diligenza e perizia a cui gli operatori professionali devono uniformarsi nell’intero ambito delle filiere alimentare e mangimistica.
Colpa professionale del distributore
La colpa professionale si ravvede dunque in tutti i casi in cui l’operatore non sia in grado di dimostrare di avere eseguito tutte le attività che da esso si devono attendere – alla luce della miglior scienza ed esperienza applicabili al settore, nel momento storico di riferimento – per impedire il verificarsi della non-conformità.
Il distributore deve quindi dimostrare la effettiva inevitabilità dell’evento, nonostante l’applicazione di sistemi di autocontrollo che nella Grande Distribuzione Organizzata oggi si basano non sulla fiducia cieca nelle dichiarazioni scritte dei fornitori, né sulla chiusura delle confezioni (elemento che di per sé vale solo a escludere fenomeni di adulterazione o sofisticazione successivi alla consegna).
La miglior scienza ed esperienza si traduce invece nell’efficacia ed efficienza dei protocolli di qualifica dei fornitori (verifiche preliminari, certificazioni e audit) e di accettazione dei prodotti (con doverose analisi a campione). Nel contesto di un sistema qualità coerente alle regole cogenti e alle norme volontarie applicabili. Le quali trovano un punto di riferimento condiviso su scala internazionale nelle linee guida di Global Food Safety Initiative (GFSI).
Note finali
l giudici della Corte di Cassazione, ancora una volta purtroppo, dimostrano di non conoscere quel ramo del diritto su cui poggia il primo settore manifatturiero europeo. Il ministro della Giustizia dovrebbe perciò garantire la formazione adeguata dei magistrati a cui affidare la trattazione di cause (civili, penali e amministrative) in tale ambito.
Le autorità del controllo pubblico ufficiale non devono perdere fiducia in decisioni superficiali come quella considerata. Tengano piuttosto a mente la rilevanza penale di vari fenomeni di non-conformità delle etichette e non perdano di vista le motivazioni del provvedimento sanzionatorio, a cui è dedicato un apposito paragrafo nel nostro ebook gratuito ‘1169 pene. Reg. UE 1169/11, notizie sui cibi, controlli e sanzioni’.
Dario Dongo
Note
(1) Reg. CE 2568/91, testo consolidato su https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1594503187359&uri=CELEX%3A01991R2568-20191020
(2) Reg. UE 29/12 e successive modifiche, articolo 3.2, lettere ‘a’ e ‘b’. Testo consolidato su https://eur-lex.europa.eu/eli/reg_impl/2012/29/2019-02-06
(3) Reg CE 2568/91 e successive modifiche, Allegato 1-ter
(4) Idem c.s., Allegato XII, punti 3.1 e 3.1.1
(5) Si segnalano altresì le sinergie delle nostre autorità con l’OLAF (European Anti-Fraud Office). Nei decenni sono state sventate numerose frodi a danno della CEE, poi CE e ora UE, legate a illecite percezioni di contributi PAC (Politica Agricola Comune) su false produzioni di oli d’oliva.
(6) Reg. UE 1169/11, art. 8.3
(7) Reg. CE 178/02, articoli 16 e 17 in particolare
(8) Sulla responsabilità del distributore si vedano i precedenti articoli https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/le-responsabilità-della-gdo, https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/responsabilità-del-distributore-approfondimenti, https://www.greatitalianfoodtrade.it/idee/responsabilità-amministrativa-d-impresa-nella-filiera-alimentare

Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.