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Semafori in etichetta e profili nutrizionali, pasticcio all’italiana

Negli ultimi mesi il tema dei semafori in etichetta è tornato alla ribalta sulle cronache nazionali. A causa delle posizioni contrarie espresse dal ministro per l’agricoltura Maurizio Martina, che fanno eco all’insolita coalizione tra Coldiretti e Federalimentare. La retorica esula tuttavia dalla realtà dei fatti e dai suoi presupposti giuridici. Proviamo a fare un po’ di chiarezza.

Il sistema dei c.d. traffic lights è stato sviluppato e sperimentato in Inghilterra per lungo tempo, su base volontaria, con il supporto del Ministero della Salute. Allo scopo di aiutare i consumatori a identificare in un colpo d’occhio gli elementi degni di attenzione (energia, grassi e grassi saturi, zuccheri e sale) in ciascun prodotto. In modo da ridurre gli eccessi pericolosi per la salute, e portare equilibrio nella dieta.

Il regolamento UE 1169/11 ha riconosciuto il ruolo dei legislatori nazionali, nell’introdurre sistemi volontari di informazione nutrizionale di sintesi, ulteriori rispetto alla dichiarazione obbligatoria stabilita a livello europeo (reg. cit., art. 35). E la Commissione europea si accinge infatti a dare il via libera ai semafori britannici. Come farà più avanti col sistema NutriScore, per certi aspetti simile, poi adottato in Francia.

I colossi internazionali di Big Food hanno recentemente dichiarato il loro appoggio ai semafori britannici, e l’impegno ad applicarli. Per raccogliere il plauso delle Associazioni dei consumatori (BEUC a livello europeo, AltroConsumo in Italia) e mettere da parte le prospettive di intervento pubblico più efficace, soda tax. (1)

L’utilità dei semafori è evidente sui cibi HFSS (High Fats, Sugars and Sodium). Come le bevande zuccherate, che in una sola lattina offrono zuccheri in quantità superiori alla soglia raccomandata a un adulto da parte dell’OMS. Snack, merendine e patatine fritte in olio di palma, cariche di grassi saturi. Ma anche i prodotti ‘insospettabili’ come i piatti pronti per vegetariani e vegani, troppo spesso iper-salati.

I profili nutrizionali relativi agli alimenti, a loro volta, servono a distinguere quelli squilibrati negli apporti di energia, nutrienti e sodio. Sono stati introdotti dal regolamento su Nutrition & Health Claims, (2) al preciso scopo di impedire che si potessero vantare presunte virtù salutistiche su cibi HFSS (quali ad esempio il Nesquik Optistar, oltre a cereali per la prima colazione che sono promossi come salutari in quanto arricchiti di vitamine, pur essendo spesso eccessivi negli zuccheri).

La funzione dei profili nutrizionali è più ampia, come sottolineato dall’Ufficio OMS per la Regione Europa che ne ha infatti sollecitato l’adozione dai Paesi membri. Servono a demarcare i prodotti che, nell’ambito di ciascuna categoria di alimenti, risultino preferibili dal punto di vista nutritivo. E porre limiti al marketing – soprattutto quando rivolto a bambini e adolescenti – di quelli non conformi ai profili stessi.

Senza penalizzare gli alimenti tradizionali – quali in Italia il Parmigiano Reggiano o il Grana Padano DOP, l’olio extravergine d’oliva a tanti altri – i quali possono venire esclusi da tale ‘demarcazione’ proprio in ragione del loro ruolo storico nell’ambito di diete equilibrate – come appunto suggerito dall’OMS, e dal legislatore europeo. (3)

La disinformazione portata avanti in Italia muove dalla sovrapposizione dei concetti di semafori in etichetta e profili nutrizionali, che invece sono ben diversi come si è mostrato. Per teorizzare che gli uni e gli altri minaccerebbero le vendite all’estero dei fiori all’occhiello del Made in Italy, come Parmigiano, prosciutto di Parma e olio extravergine. Una favola costruita ad arte per proteggere i soli prodotti che invece rischiano di venire penalizzati. Quelli dolciari più scadenti, satolli di palma e zucchero. Il cui destino è comunque segnato, a meno che non si provveda alla loro doverosa riformulazione.

Note
(1) La lobby delle 10 Grandi Sorelle del cibo sta anche provando a trasferire ogni informazione e valutazione nutrizionale dei cibi dai 100 g/ml alle singole porzioni, che possono venire ‘calibrate su misura’ del marketing. Questo approccio risulta peraltro ingannevole per i consumatori, i quali perdono la possibilità di comparare i vari prodotti riferendosi alla stessa quantità
(2) Reg. CE 1924/06, articolo 4
(3) Il regolamento su Nutrition & Health Claims prevede infatti la possibilità di escludere gli alimenti tradizionali. Come è logico, a maggior ragione in quanto è la stessa Europa a co-finanziare i programmi di promozione degli alimenti tradizionali, nell’ambito della PAC

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