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Sede dello stabilimento in etichetta, Bruxelles prende tempo

È servita una mobilitazione popolare per costringere il governo italiano a ripristinare l’obbligo della sede dello stabilimento in etichetta.

Il governo italiano si è finalmente attivato, dopo tre anni di silenzi e falsi proclama. E da Bruxelles, finalmente, il via libera alla norma a tutela del Made in Italy.

La dichiarazione obbligatoria della sede dello stabilimento di produzione sull’etichetta dei prodotti alimentari italiani – come abbiamo già spiegato – è l’unica strada. Per tutelare il Made in Italy, in Italia e all’estero, rispetto alle contraffazioni e al c.d. Italian sounding.

Il Consiglio dei ministri aveva notificato a Bruxelles, a marzo scorso, lo schema di decreto che ripristina l’obbligo di citare la sede dello stabilimento sulle etichette degli alimenti realizzati in Italia. (1)

A Bruxelles, le prime lamentale sono pervenute dalle lobby europee di alcune categorie – integratori alimentari e alimenti per sportivi, vini – che ancora vedono la trasparenza in etichetta come il fumo negli occhi. (2)

Accuse di protezionismo sono giunte da Germania, Austria, Danimarca e Spagna. Ma a ben vedere il provvedimento italiano è incontestabile oggi, come lo fu nel 1992, quando venne introdotto per la prima volta e venne infatti riconosciuto come legittimo dalla stessa Commissione europea.

La Commissione europea ha preso tempo. Altri tre mesi di attesa, fino al 2.10.17. Con una richiesta di chiarimenti al governo italiano, sulle formalità della procedura di notifica. Che si iscrive nell’ambito del regolamento (UE) n. 1169/11 (c.d. Food Information Regulation), in quanto normativa speciale. Anziché nel contesto del sistema TRIS (Technical Regulation Information System), introdotto dalla direttiva 98/34/CE e successive modifiche.

Al di là delle forme, la sostanza rimane quella di un’indifferibile e condivisa esigenza di palesare ai consumatori italiani, europei e globali l’effettività della dicitura Made in Italy. Per distinguere in modo chiaro e inequivocabile gli alimenti prodotti in Italia rispetto a quelli che ingiustificatamente evochino tale origine (c.d. Italian Sounding).

Senza dimenticare l’opportunità di estendere l’obbligo di citare la sede dello stabilimento di produzione a tutti gli alimenti realizzati in Unione Europea. Per ottimizzare la tracciabilità e facilitare la gestione in Europa di ogni eventuale crisi di sicurezza alimentare. (3)

Dario Dongo

Note

(1) Tale prescrizione infatti già vigeva in Italia fin dal 1992. Ma decadde il 14.1214, data di applicazione del reg. UE 1169/11. Poiché l’allora ministra Federica Guidi omise deliberatamente la sua notifica alla Commissione europea

(2) Vedasi http://ec.europa.eu/growth/tools-databases/tris/en/search/?trisaction=search.detail&year=2017&num=135

(3) Ai sensi del reg. CE 178/02, articolo 18. Una norma a suo tempo quasi rivoluzionaria, che a 12 anni dall’applicazione merita ora di venire rafforzata

 

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