Il governo italiano, dopo oltre due anni di colpevole inedia, ha finalmente notificato a Bruxelles uno schema di decreto legislativo atto a reintrodurre l’obbligo di indicare la sede dello stabilimento di produzione. Doverosa, sulle etichette degli alimenti Made in Italy.
La Commissione europea ha atteso gli ultimi giorni prima della scadenza del c.d. standstill period per comunicare all’Italia ulteriori richieste di chiarimenti. Sulla scorta delle opinioni contrarie – espresse da Big Food per il tramite Germania, Austria, Danimarca e Spagna – l’esecutivo di Bruxelles ha così posticipato al 2 ottobre 2017 il termine per esprimere il via libera allo schema normativo nazionale.
Curiosi di conoscere gli argomenti opposti dai citati Stati membri, e le richieste della Commissione in ordine al progetto dell’Italia di chiedere ai suoi soli operatori di informare i consumatori sulla sede dello stabilimento di provenienza dei prodotti alimentari destinati al solo mercato italiano, (1) abbiamo richiesto a Bruxelles di poter ricevere copia dei relativi atti.
La Commissione ha però deciso di mantenere segreti tali atti, (2) con buona pace del criterio di trasparenza su cui è storicamente basata la procedura di notifica delle norme tecniche nazionali. Appellandosi a una recente direttiva, (3) secondo la quale i commenti sui disegni legislativi nazionali possono venire mantenuti segreti, al pari degli atti di indagine su procedure d’infrazione del diritto UE.
La risposta di Bruxelles non depone a favore della libera informazione, né lascia spazio al dibattito con i cittadini, i consumatori e i portatori di interessi legittimi – i c.d. stakeholders – sullo sviluppo di normative che possono avere un favorevole impatto sulle loro scelte consapevoli di consumo, e comunque un impatto sulle rispettive attività professionali.
L’approccio ricorda quello della ‘dark room‘, il muro di omertà dietro il quale sono stati nascosti per anni i voluminosi documenti relativi ai negoziati di libero scambio – e in realtà, ben più estensivi – che vanno sotto i nomi di TTIP e CETA. In pratica, laddove alcuna ipotesi normativa possa arrecare disturbo agli ideologi del neo-liberismo, la si mantiene sotto sigillo in attesa di neutralizzarla.
Non è questa l’Europa che vogliamo, è ora di cambiare registro. Trasparenza degli atti in primis, e rispetto delle legittime aspettative dei cittadini come declinate nei disegni normativi degli Stati membri. Nel rispetto sì della libera circolazione delle merci, ma senza trascurare la sovranità nazionale e quella popolare in casi – come questo – ove essa risulti coerente con le norme comuni di carattere generale.
Dario Dongo
Note
(1) Nel rispetto del principio di libero scambio, vale a dire senza pretendere che gli operatori stabiliti in altri Paesi membri forniscano detta informazione sulle etichette di alimenti pure immessi sul mercato italiano
(2) V. lettera 3.8.2017 della Commissione europea allo scrivente, qui allegata (2017) 4317849- Dario Dongo GESTDEM 2017-4276
(3) Dir. UE 2015/1535
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.