Sull’origine dell’ingrediente primario, Bruxelles conferma il via libera all’Italian sounding. Con il supporto del governo Gentiloni e delle confederazioni agricole che lo sostengono.
Origine ingrediente primario e Italian sounding
Il regolamento UE 1169/11 ha previsto l’obbligo di indicare in etichetta l’origine o provenienza dell’ingrediente primario (>50%), quando essa non coincida con il Made in dichiarato. Vale a dire, con il Paese ove il prodotto abbia subito la sua ultima trasformazione sostanziale, di cui sia stata data evidenza in etichetta e/o pubblicità. (1)
La Commissione europea è stata delegata a emanare un regolamento di esecuzione, (2) per definire in concreto come applicare la norma di cui sopra. Ha atteso sette anni, l’esecutivo di Bruxelles, per l’ennesimo tradimento della fiducia dei consumatori, e del mandato ricevuto dal legislatore europeo.
L’Italian sounding avrà campo libero, grazie alle deroghe che il Commissario Vytenis Andriukaitis ha proposto e la quasi totalità dei governi degli Stati membri ha accolto. (2)
Sarà sufficiente inserire i suggerimenti geografici all’interno di un marchio registrato, o in una IGP (Indicazione Geografica Protetta), per beneficiare di un’apposita deroga. E continuare a nascondere che l’ingrediente primario proviene da tutt’altra parte.
Latticini e formaggi da latte e cagliate di provenienza lontana, prosciutti e salumi da carni estere, pasta da grano canadese, riso asiatico? Basterà inserire il tricolore nel brand, e il consumatore verrà privato della possibilità di distinguere la filiera locale da quella globalizzata. (3)
Addirittura, la deroga è estesa ai ‘termini geografici inclusi nei nomi consueti e generici, dove tali termini indicano letteralmente l’origine, ma la cui comprensione comune non è un’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza’. Viene così espressamente legittimata ogni possibile forma di Italian sounding.
Le verità non dette
Coldiretti si lamenta ora, a giochi fatti, del regolamento della Commissione europea che tradisce il Made in Italy in favore dell’Italian sounding. Ma il governo Gentiloni – che Coldiretti ha sempre appoggiato – ha votato a favore di tale regolamento. Anziché pretendere da Bruxelles il rispetto del mandato ricevuto dal legislatore europeo, che non prevedeva alcuna deroga.
Le verità non dette riguardano i decreti italiani sull’origine di pasta, riso e pomodoro. Decreti di cui i ministri Maurizio Martina e Carlo Calenda hanno programmato l’obsolescenza, che perderanno efficacia a partire dalla data di entrata in vigore del regolamento europeo in esame. (4) Vergogna!
Made in Italy e Italian sounding, che fare?
Al governo italiano che verrà, l’unica chance per rimediare ai danni dei suoi predecessori risiede nell’opportunità di ricorrere alla Corte di Giustizia UE. Per denunciare il mancato rispetto della delega che il legislatore europeo ha conferito alla Commissione. La quale avrebbe dovuto limitarsi ad attuare la semplice regola introdotta nel Food Information Regulation di cui in premessa, (5) senza facoltà di introdurre alcuna deroga di sorta.
I passi successivi sono due.
Imporre rigore nei controlli pubblici ufficiali su alimenti che in alcun modo (con diciture o rappresentazioni grafiche, se pure contenute nei marchi, suggeriscano un’origine non veritiera. In tutti i casi in cui il consumatore possa venire indotto in errore sulla effettiva origine dei prodotti (intesa come il luogo della loro ultima trasformazione sostanziale) essa deve infatti venire specificata. (6)
‘L’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza è obbligatoria: nel caso in cui l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza’ (reg. UE 1169/11, art. 26.2.a)
Introdurre l’obbligo di origine delle carni al ristorante. Il consumatore ha diritto di conoscere l’origine di carni, pesci e prodotti derivati anche quando consuma i pasti fuori casa (mense, ristoranti e trattorie, fast-food, take-away). Tanto più che i pasti fuori casa, a livello europeo, rappresentano il 50% del totale. (7)
Dario Dongo
Note
(1) V. reg. UE 1169/11, articolo 26.3
(2) Germania e Lussemburgo sono i soli governi astenutisi dal voto sullo schema di regolamento, a loro avviso ‘troppo restrittivo’
(3) Per un esame dei diversi casi che si possono proporre e delle norme che si applicheranno, si veda l’articolo https://www.greatitalianfoodtrade.it/etichette/origine-ingrediente-primario-vincitori-e-vinti
(4) Si richiama quanto scritto nella Parte VI dell’ebook gratuito ‘1169 PENE – Reg. UE 1169/11. Notizie sui cibi, controlli e sanzioni‘, su
https://www.greatitalianfoodtrade.it/libri/1169-pene-e-book-gratuito-su-delitti-e-sanzioni-nel-food
(5) V. precedente Nota 1
(6) Cfr. reg. UE 1169/11, art. 26.2.a. Norma già in vigore, senza bisogno di alcun atto di esecuzione da parte dei traditori di Bruxelles. È il caso ad esempio del marchio tricolore ‘Mirácoli’ di Kraft Foods, ampiamente utilizzato in tutta Europa su pasta e altri prodotti Italian sounding che vengono prodotti in Germania ma riportano in etichetta la sola ingannevole dicitura Made in UE
(7) Il paradosso è rappresentato dal fatto che ai consumatori europei è riconosciuto da 18 anni il diritto di conoscere i Paesi di nascita, allevamento e macellazione delle carni bovine in vendita al dettaglio. Senza tuttavia ricevere alcuna notizia sulle carni somministrate dalle collettività
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.