HomeEtichetteDenominazioni comunali, opportunità  trascurate.  L’ABC

Denominazioni comunali, opportunità  trascurate.  L’ABC

Marcare il legame dei prodotti con i territori di  origine  è indispensabile per salvaguardarne l’identità sul mercato globale. Oltre a DOP e IGP, che rappresentano la via maestra, vale la pena considerare le De.Co.  Denominazioni comunali, una delle opportunità trascurate dai politicanti nazionali di ogni bandiera. L’ABC a seguire.

Tesori e nomi dei Comuni d’Italia

A Luigi Veronelli – lucido osservatore di  agricoltura contadina  e tradizioni enogastronomiche italiane – si deve la geniale idea geniale di valorizzare i prodotti ‘comunali’ che per varie ragioni non possano fregiarsi dei marchi tipici di qualità (DOP, IGP).  ANCI, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, propose nel 2000 un disegno di legge che raccolse ampi consensi presso le amministrazioni locali e altrettanto disinteresse della politica nazionale.

Le De.Co. costituiscono un esempio di marchio privato ad uso collettivo. Per il riconoscimento e la tutela dei prodotti agroalimentari e artigianali realizzati nel territorio di un Comune. Con peculiare riguardo a quelle filiere, tradizioni e attività che caratterizzano il territorio specifico e contribuiscono alla sua stessa fama, nel ricorrente connubio tra storia, luoghi e specialità alimentari.

La dimensione locale ha particolare rilievo nel nostro Paese, l’Italia dei Comuni spesso dotati di storie e culture autonome rispetto a quelli vicini, anche a causa delle varie fasi di colonizzazioni e ripartizioni dei territori subite a partire dal Medio Evo. A livello operativo, identificare i ‘tesori’ comunali vale a preservarne la storia con uno strumento efficace ed economico qual è appunto il marchio. Senza bisogno di ricorrere alle complessità richieste per il riconoscimento delle ‘Geographical Indications’ (GIs), come DOP e IGP. I cui oneri e costi di registrazione e mantenimento risultano sproporzionati rispetto a produzioni esigue, neppure in grado di sfiorare il mercato di massa.

Le denominazioni comunali possono comunque favorire lo sviluppo integrato dei territori, a livello di artigianato e agricoltura contadina così come di turismo e ospitalità diffusa. Nella prospettiva tra l’altro di mitigare l’esodo dei giovani verso le metropoli e mantenere in vita i tanti piccoli comuni che oggi vivono un drastico spopolamento. Questo strumento è già stato utilizzato per oltre 400 specialità italiane. Dall’arancia di San Giuseppe di Reggio Calabria al Panettone di Milano, la pasticceria alessandrina, la cipolla borettana, la Fiera del Bue Grasso di Moncalvo (Asti) e altre ancora.

De.Co.,  diritto  e procedure

L’interesse dei Comuni a rappresentare le comunità locali nonché a preservare l’identità dei prodotti legati agli usi e tradizioni è previsto dalle norme sul decentramento amministrativo. Le quali considerano tra l’altro la responsabilità degli enti allo sviluppo economico territoriale, il valore di iniziative popolari atte a promuovere gli interessi collettivi mediante partecipazione dei cittadini, la legittimità delle denominazioni. (1)

La Costituzione della Repubblica italiana, a seguito della riforma del Titolo V (intervenuta con legge costituzionale 3/01), ha poi attribuito agli enti locali il ruolo di attuare le leggi – regionali e nazionali – secondo i principi di sussidiarietà e di equi-ordinazione dei diversi livelli politici e amministrativi. In tale ambito si inquadra il diritto di tutelare le espressioni popolari che interessino le attività agroalimentari, in quanto rappresentative di un patrimonio culturale di rilievo.

La titolarità delle De.Co. spetta al Comune che provveda a registrare i relativi marchi. La procedura si articola in due fasi:

– le parti sociali interessate (es. coltivatori e/o produttori) rivolgono al Comune la richiesta di registrazione della De.Co. Presentando un fascicolo quanto possibile dettagliato che attesti storia e radicamento sul territorio, metodo di coltivazione e/o produzione. Altrettanto dicasi in relazione a manifestazioni o sagre cui si intenda attribuire questo tipo di riconoscimento. Il Comune può anche adottare d’ufficio tali iniziative,

– il Consiglio comunale approva la De.Co., mediante apposita delibera che ne concede l’uso gratuito da parte dei richiedenti che dimostrano di rispettare i requisiti stabiliti. La Giunta comunale istituisce l’albo delle De.Co., ove vengono inserite tutte le denominazioni attribuite. Anche allo scopo di prevenire la c.d. volgarizzazione e così la contraffazione di nomi e denominazioni.

Legislazione regionale, De.Co. in corso

In Veneto, il progetto di legge regionale su ‘disciplina e valorizzazione delle denominazioni comunali’, presentato il 31.1.19, è al vaglio della III Commissione regionale. La regione Veneto già nel 2013 aveva elaborato un disegno di legge, poi fallito, nei cui atti accompagnatori si indicava che almeno 40 Comuni avrebbero subito beneficiato della denominazione.

La regione Liguria ha approvato una legge regionale ad hoc, n. 11/18, il 27.7.18. In Campania e Sicilia sono state presentate altrettante proposte di legge. Il Lazio ha a sua volta appoggiato il progetto ‘Origine Comune’, avviato da ANCI Lazio nel 2018, dimostrando sostegno a questo tipo di iniziative.

I PAT, Prodotti Agroalimentari Tradizionali, vennero a loro volta introdotti con una funzione ipotetica di registrazione delle produzioni locali tipiche dei territori (mediante d.lgs. 173/98). I relativi elenchi, aggiornati a livello regionale, sono tuttavia privi di alcun valore giuridico. A maggior ragione in quanto i PAT non siano registrati quali marchi, come invece le De.Co. con cui nondimeno possono convivere.

DOP, IGP  e De.Co., una  pacifica  convivenza

La pacifica convivenza delle denominazioni comunali con il regime di qualità dei prodotti agroalimentari – ora disciplinato dal  reg. UE 1151/12  – è garantita dalla diversa natura delle tutele offerte:

– DOP e IGP possono venire registrate solo su una ristretta categoria di prodotti agroalimentari e attestano loro caratteristiche qualitative specifiche, legate ai territori d’origine,

– le De.Co. attengono a una ben ampia varietà di beni e servizi e valgono semplicemente ad attribuirli a una località geografica. Senza pretesa di garantire alcun plus qualitativo.

La Corte di Giustizia UE si è già espressa sulla compatibilità tra sistemi nazionali di registrazione di nomi e territori, da un lato, con il regime europeo di qualità. I giudici di Lussemburgo hanno chiarito più volte – nelle sentenze ‘Torrone di Alicante’, (2)  ‘Warsteiner’ (3) e ‘Budvar’ (4) in particolare – che il regime europeo di qualità vale a distinguere i prodotti in ragione di un nesso diretto tra una loro particolare caratteristica, la qualità o la reputazione, da un lato, e l’origine. Le semplici denominazioni geografiche, viceversa, non implicano alcuna relazione tra le caratteristiche del bene e la sua origine geografica.

‘Made in’, origine, De.Co. Opportunità da non perdere

Identificare ‘Made in’ e origine in etichetta è essenziale per consentire ai consumatori di eseguire scelte informate di consumo, nonché cruciale per il rilancio della domanda interna e internazionale. In attesa che l’Europa superi l’impasse del regolamento OPT (Origine Pianeta Terra) e dia effettivo seguito all’iniziativa popolare #EatORIGINal! Unmask Your Food!, i marchi collettivi adottati su base volontaria esprimono un’ottima opportunità, come chi scrive afferma da almeno una quindicina d’anni. (5) È dunque ora che anche a Roma qualcuno si svegli, una volta ogni tanto.

Dario Dongo e Marina De Nobili

Note

(1) Cfr. d.lgs. 267/2000, ‘Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali’, articoli 3, 8 e 13

(2) Corte di Giustizia, C-3/91, sentenza 10.11.92. Il caso ‘Torrone di Alicante’ deriva dal ricorso una società spagnola nei confronti di due operatori francesi, i quali producevano dolciumi usando i nomi delle città di Alicante e Jijona. In violazione di un accordo tra Francia e Spagna, del 1973, che tutelava le denominazioni di origine di alcuni prodotti. Tra i quali, appunto, il torrone di Alicante e Jijona. La Corte di Giustizia, in contrasto con le posizioni di Bruxelles, dichiarò la legittimità della tutela delle denominazioni semplici

(3) Corte di Giustizia UE, causa C-312/98, sentenza 7.11.00. Nella pronuncia, nota come ‘Warsteiner Brauerei’, si è indagato il rapporto tra reg. CEE 2081/92 e la normativa tedesca su marchi e concorrenza sleale. In relazione alla vendita di birre con marchio recante il nome di una città tedesca (Warsteiner), bensì prodotte a 40km di distanza. I giudici di Lussemburgo hanno considerato le norme nazionali compatibili con il diritto UE poiché le stesse non implicavano un legame tra la qualità del prodotto e la sua origine

(4) Corte di Giustizia UE, C-216/01, sentenza 18.11.03. Sulla base di un accordo bilaterale tra Austria e Cecoslovacchia, risalente al 1976 bensì ancora valido, l’utilizzo di nomi cechi doveva venire riservato in via esclusiva a prodotti realizzati in quel Paese. La birreria ceca Budéjovický Budvar ha perciò ottenuto il divieto di vendita in Austria della birra ‘American Bud’. La Corte ha valutato le disposizioni dell’accordo A-CZ compatibili con il diritto europeo, poiché le prime riferivano la tutela alle sole citazioni geografiche

(5) Cfr. Dario Dongo, ‘Etichette alimentari e pubblicità, principi e regole’ (Edagricole-Il Sole 24 Ore, Bologna, 2004)

Articoli correlati

Articoli recenti

Commenti recenti