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Alimenti bio, chi controlla le etichette?

Un’etichetta di lino biologico di montagna vale a esprimere l’esempio di qualcosa che non va nel bio come in altre produzioni, di imprese artigiane in particolare. Con l’aggravante, nel caso del bio, della presenza di una certificazione pubblica.

Il bio galoppa, in Italia e in Europa, nella distribuzione moderna come in quella tradizionale di nicchia. Le ragioni sono diverse, comprensibili e apprezzabili da molti. Tra queste, è innegabile il ruolo della garanzia offerta da un ente terzo di certificazione, appositamente autorizzato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali.

La fiducia del consumatore merita perciò altrettanto rispetto, nell’informazione sui prodotti biologici come su quelli convenzionali. A maggior ragione in quanto le imprese agricole bio, spesso micro-imprese, dovrebbero ricevere il supporto dell’ente di certificazione, in termini di know-how agronomico e legislativo. Spesso però purtroppo non è così.

L’etichetta del lino biologico che si porta a esempio risulta perciò emblematica. Laddove sul retro, per descrivere le proprietà nutrizionali di un prodotto di qualità eccellente, si riportano notizie che paiono estratte dalla bibliografia di un tempo. Con una violazione delle regole vigenti che tuttavia è così macroscopica da risultare grottesca.

La dichiarazione nutrizionale deve seguire un apposito schema, con 7 elementi obbligatori (1) e la facoltà di aggiungere il valore delle fibre. Non è obbligatoria per le microimprese, le quali vi sono comunque tenute laddove sia fatto impiego di claim nutrizionali e relativi alla salute. (2)

nutrition & health claims devono a loro volta rispettare i criteri definiti nell’omonimo regolamento (3) e in quello di sua attuazione. (4) Di conseguenza non si possono vantare in etichetta, ad esempio, indicazioni sulla salute che – quand’anche risultino pacifiche in dottrina e bibliografia, nella saggezza popolare o l’esperienza di utilizzo – non siano state autorizzate con regolamento della Commissione europea.

Le violazioni delle regole sui nutrition & health claims sono già ora soggette a un apposito regime sanzionatorio. Ed è prossima, a quanto sembra, l’approvazione del decreto sanzioni relativo al regolamento UE 1169/11.

L’etichetta di cui si riporta copia non merita ulteriori commenti. Salvo annotare che, secondo l’antico brocardo, ignorantia legis non excusat. (5) E se da un lato è doveroso a tutti gli operatori adoperarsi per la corretta applicazione delle norme, è altresì raccomandabile agli enti di certificazione del biologico l’esecuzione di controlli meno superficiali sulle etichette da essi approvate.

In attesa e nell’auspicio che alla responsabilità etica si aggiunga presto anche quella legale. Magari grazie a nuovi orientamenti amministrativi e di giurisprudenza, in attesa delle necessarie riforme ancora di là da venire.

Dario Dongo

Note

(1) Energia (kJ, kcal), grassi, di cui acidi grassi saturi, carboidrati, di cui zuccheri, proteine, sale (sodio-equivalente). Da riferire ai 100 g o ml di prodotto, e su base facoltativa anche alla porzione. Con l’accortezza, in tal caso, di indicare la misura delle porzioni e il numero di esse contenute nella confezione

(2) Si rammenta l’obbligo di precisare la quantità (in valore assoluto, e in quota rispetto ai Valori Nutrizionali di Riferimento) dei micronutrienti oggetto di eventuali vanti nutrizionali o salutistici

(3) Cfr. reg. CE 1924/06 e successive modifiche

(4) V. reg. UE 432/12 e sue integrazioni

(5) Tale principio è stato ripreso nel codice penale, laddove ‘Nessuno può invocare a propria scusa l’ignoranza della legge penale’ (articolo 5). Ignoranza non ammessa neppure per le leggi amministrative (cfr. legge 689/81)

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