Il 23 marzo 2023 la Commissione europea ha adottato la proposta di Green Claims Directive, per garantire che le notizie sulla sostenibilità ambientale di prodotti e servizi siano basate su dati obiettivi e coerenti, in antitesi al greenwashing (1,2).
Le norme prospettate a Bruxelles sono però deboli e frammentate, inidonee a raggiungere i pur valevoli obiettivi proposti. Anzi ancor peggio, queste norme permettono di validare gli schemi privati di certificazione su cui il greenwashing prospera.
1) Environmental claim, premessa
La proposta di riforma (2022) della direttiva sulle pratiche commerciali scorrette (Dir. 2005/29/EC) – volta a proteggere i consumatori nell’era della ‘transizione verde’ (almeno in teoria) – ha introdotto la nozione di claim ambientale nei seguenti termini.
‘Environmental claim means
- any message or representation, which is not mandatory under Union law or national law, including text, pictorial, graphic or symbolic representation, in any form, including labels, brand names, company names or product names, in the context of a commercial communication, which states or implies that
- a product or trader has a positive or no impact on the environment or is less damaging to the environment than other products or traders, respectively, or has improved their impact over time’ (3).
2) Greenwashing. Gli studi della Commissione europea
Le rilevazioni della Commissione europea (2020) su environmental claims e greenwashing hanno mostrato:
- inaffidabilità. Il 53,3% dei claim ambientali esaminati riferiva notizie vaghe, fuorvianti o infondate,
- il 40% delle affermazioni era privo di dimostrazione.
Le autorità di cooperazione per la tutela dei consumatori negli Stati membri, nel 2018, avevano rilevato (su 344 claim in 28 Paesi, che la Commissione definisce ‘indagine a tappeto’, in premessa alla proposta in esame):
- nel 57,5% dei casi il distributore non ha fornito elementi sufficienti per valutare la fondatezza della dichiarazione,
- in molti casi, le notizie erano così vaghe da non consentire di comprendere se fossero riferite al prodotto o solo ad alcuno dei suoi componenti (50%), all’azienda o solo ad alcuni prodotti (36%), e a quale fase del ciclo di vita del prodotto (75%). (4)
3) Greenwashing e climate seals. I rapporti della società civile
Foodwatch, nel proprio rapporto sul greenwashing nel settore alimentare di novembre 2022, ha dimostrato che:
- nessun fornitore di climate seals (marchi privati di ipotetica attestazione di ‘neutralità climatica’) prescrive alle industrie alimentari l’adozione di apposite misure per la riduzione di CO2,
- i fornitori di questi servizi, come Climate Partners (D) e Myclimate (CH) guadagnano milioni di euro con la sola intermediazione di crediti di CO2 ‘discutibili’, anche a favore di industrie e retailer non affatto eco-logici. (5)
‘The business with climate advertising is modern indulgences trade, which can do more harm than good to the climate. Instead of spending money on misleading climate seals, manufacturers should rather invest in effective climate protection measures along their own supply chain’ (Rauna Bindewald, Foodwatch).
4) Alimenti e tessuti ecologici? Solo se certificati bio
L’agricoltura biologica è la sola a garantire il rispetto di biodiversità ed ecosistemi, suoli e acque. Sulla base di regole consolidate nel diritto europeo da oltre 30 anni (reg. CEE 2092/91, ora reg. UE 2018/848) che finalmente trovano riconoscimento.
‘I termini ‘bio’ ed ‘eco’ e i loro derivati, da soli o in combinazione, possono essere utilizzati’ – per gli alimenti e loro ingredienti, le materie prime per mangimi e altri prodotti inclusi nel campo di applicazione del reg. UE 2018/848, solo sui prodotti certificati bio (proposta Green Claims Directive, considerando 9).
Il cotone viene preso ad esempio del cotone, in quanto prodotto derivato dall’agricoltura che oggi può venire certificato bio. Sebbene gli inganni più diffusi oggi riguardino gli alimenti da ‘agricoltura integrata’, oltreché quelli citati da Foodwatch. (6)
5) Il puzzle delle regole UE e nazionali
La Commissione europea ancora una volta propone una direttiva – uno strumento debolissimo, rispetto al regolamento (7) – che interviene a modifica di un’altra direttiva (2005/29/CE). La quale a sua volta è oggetto di precedente proposta di modifica, proprio sul tema greenwashing (v. sopra, par. 1).
Il puzzle di regole si complica con le normative in essere e in divenire – spesso basate su regolamenti, cioè regole davvero identiche a livello UE – che già disciplinano in modo specifico una serie di environmental claim. Biologico, eco-label, ecodesign, Circular Economy Package, certificazioni a uso ESG e investimenti sostenibili, etc. (8)
5.1) Tutela asimmetrica dei consumatori e del mercato
L’asimmetria di tutela dei consumatori rispetto al greenwashing è garantita dall’attribuzione agli Stati membri del potere di decidere se e quando i claim ambientali siano chiari per i consumatori, coerenti alle ‘evidenze scientifiche’ (la cui volubilità a servizio del marketing è ben nota, v. nota 9) e distintivi rispetto agli obblighi di legge (Article 3. Substantiation of explicit environmental claims).
Ogni Stato membro potrà così ‘cucire su misura’ degli interessi nazionali gli environmental claims da ammettere sui prodotti ivi realizzati. E se la Germania permetterà i green claims su merci prodotte con energia da centrali a carbone, gli altri Stati membri dovranno accettare il greenwashing (magari ‘compensato’ da carbon credits peruviani) in forza del principio di libera circolazione.
6) Green Claims Directive, l’ABC
I green claims sono informazioni commerciali volontarie sulle prestazioni ambientali degli operatori e/o i loro prodotti e servizi. La Green Claims Directive, nella proposta di Bruxelles, ambisce a declinare a tale ambito i principi generali di lealtà e trasparenza delle pratiche commerciali.
I claim comparativi – come è ovvio, anche nel caso di claim nutrizionali – devono essere sostanziati e trasparenti nel definire i termini di confronto. Gli altri claim devono essere chiari e precisare la fase della supply-chain a cui si riferiscono. L’informazione deve comprendere almeno:
- aspetti ambientali, impatti ambientali o prestazioni ambientali,
- norme UE o internazionali (es. ISO) pertinenti, se del caso,
- studi utilizzati per valutare, misurare e monitorare gli impatti, gli aspetti o le prestazioni ambientali oggetto del claim, ‘a meno che le informazioni non siano un segreto commerciale’,
- ‘breve spiegazione di come sono stati ottenuti i miglioramenti’
- ‘certificato di conformità’ e informazioni di contatto del verificatore che lo ha redatto,
- GHGs (greenhouse gases). I claim relativi a CO2 e gas serra devono precisare se si tratti di compensazioni (carbon credits) o riduzioni o rimozioni delle emissioni,
- una sintesi della valutazione degli elementi di cui sopra, chiara e comprensibile per i consumatori (Articolo 5. Communication of explicit environmental claims).
7) Environmental labels
Gli Stati membri, nel disegno di Bruxelles, dovrebbero valutare la conformità degli schemi di certificazione ed etichettatura ambientale alle norme da introdursi con la Green Claims Directive. E il caos è assicurato, come si evince dalla semplice analisi delle sei certificazioni che solo in Francia oggi lambiscono il tema ‘agroecologia’. (10)
I punteggi e le valutazioni su prodotti e operatori, d’altra parte, sono riservati alle sole ‘etichette ambientali assegnate nell’ambito dei sistemi di etichettatura ambientale istituiti dal diritto dell’Unione’ , i quali devono basarsi ‘su un indicatore aggregato degli impatti ambientali di un prodotto o di un operatore commerciale’ (articolo 7, environmental labels).
Si prefigura dunque la moltiplicazione delle ‘bandierine’ di ‘sostenibilità ambientale’, nello stile degli environmental seals che nutrono il mercato dei crediti di carbonio (v. sopra, paragrafo 3). In attesa – e in antitesi – di uno standard europeo, tanto meglio se internazionale, che dovrebbe invece considerare l’impatto complessivo delle filiere a monte dei prodotti (11,12).
8) Environmental labelling schemes
‘I sistemi di etichettatura ambientale attestano che un prodotto, un processo o un operatore commerciale è conforme ai requisiti per un’etichetta ambientale’. E devono soddisfare i seguenti requisiti:
- requisiti elaborati da ‘esperti in grado di garantirne la solidità scientifica’ e ‘sottoposti alla consultazione di un gruppo eterogeneo di soggetti interessati che li ha esaminati e ne ha garantito la pertinenza dal punto di vista della società’,
- informazioni ‘trasparenti, accessibili gratuitamente, di facile comprensione e sufficientemente dettagliate’ su proprietà e organi decisionali del sistema di certificazione ed etichettatura ambientale, obiettivi, requisiti e procedure di controllo, (13)
- condizioni di adesione proporzionate a dimensioni e fatturato delle imprese, per non escludere le piccole e medie imprese,
- esistenza di una procedura di risoluzione di reclami e controversie, che preveda ritiro e sospensione dell’etichetta ambientale ‘in caso di persistente e flagrante non conformità ai requisiti del sistema’. Tutto su misura di greenwashing, come insegna la storia dell’in-sostenibile olio di palma certificato RSPO. (9)
9) Conclusioni provvisorie
Un sassolino nello stagno di pittura verde non risolverà in alcun modo il problema del greenwashing. L’utilizzo di una direttiva amplificherà la concorrenza sleale degli operatori basati nei Paesi più indulgenti, come già accade con le asimmetrie normative sul diritto del lavoro. (14)
Le strategie Green Deal, Farm to Fork e Biodiversity 2030 non possono trovare alcuna concreta attuazione in una proposta così debole. I Green Claims sono solo il sintomo, e la leva di marketing, di un fenomeno da affrontare con regole identiche nell’intero mercato UE.
#SDG12. Responsible Consumption and Production
Dario Dongo
Note
(1) European Commission. Green claims. New criteria to stop companies from making misleading claims about environmental merits of their products and services https://environment.ec.europa.eu/topics/circular-economy/green-claims_en
(2) European Commission, DG ENV. Proposal for a Directive on substantiation and communication of explicit environmental claims (Green Claims Directive). https://environment.ec.europa.eu/system/files/2023-03/Proposal%20for%20a%20Directive%20on%20Green%20Claims.pdf 22.3.22. COM(2023) 166 final
(3) European Commission. Proposal for a Directive amending Directives 2005/29/EC and 2011/83/EU as regards empowering consumers for the green transition through better protection against unfair practices and better information. COM(2022) 143 final https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/HTML/?uri=CELEX:52022PC0143&from=EN. V. articolo 1
(4) European Commission (2020). Environmental claims in the EU: Inventory and reliability assessment Final report https://green-business.ec.europa.eu/environmental-footprint-methods_en
(5) Foodwatch (2022). Der grosse klima-fake report https://www.foodwatch.org/fileadmin/-DE/Themen/Klimaluegen/Report_Klima_Claims/Klima_Report_2022.pdf
(6) Donato Ferrucci, Dario Dongo. Agricoltura integrata e impiego di pesticidi, i dati non tornano. GIFT (Great Italian Food Trade). 28.1.19
(7) La direttiva postula il recepimento da parte dei 27 Stati membri UE mediante appositi atti normativi nazionali che spesso divergono, anche in misura sostanziale, rispetto ai principi affermati dal legislatore europeo. Si cita l’esempio della Single Use Plastics Directive (SUP), che in Italia è stata disapplicata con deroga ingiustificata a favore degli imballaggi nazionale in bioplastiche. V. paragrafo 1.3 del precedente articolo
(8) Green Claims Directive draft proposal, article 1
(9) Dario Dongo. Olio di palma insostenibile, la carica dei 101. GIFT (Great Italian Food Trade). 3.12.22
(10) Marta Strinati. Agroecologia, 6 sistemi a confronto. I vantaggi del bio per gli agricoltori. Analisi. GIFT (Great Italian Food Trade). 30.8.20
(11) Marta Strinati. Etichettatura ambientale degli alimenti, appello per uno schema affidabile. GIFT (Great Italian Food Trade). 8.3.22
(12) Marta Strinati. Biologico contro Eco-score. IFOAM si rivolge alla Corte di Parigi. GIFT (Great Italian Food Trade). 25.1.23
(13) La certificazione di parte terza deve venire eseguita da enti accreditati, ai sensi del Reg. (EC) No 765/2008 (Green Claims Directive draft proposal, article 11)
(14) Marta Strinati, Dario Dongo. Macelli e industrie delle carni. Dietro i contagi ai Covid-19, il caporalato alla tedesca. GIFT (Great Italian Food Trade). 7.7.20

Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.