HomeConsum-attoriCommercio e import parallelo, il vero risparmio sui prodotti di Big Food

Commercio e import parallelo, il vero risparmio sui prodotti di Big Food

Big FoodQuanto quanto variano le politiche sui prezzi da un Paese all’altro e perché gli stessi prodotti in Italia costano anche il doppio rispetto a Paesi vicini? I fenomeni inarrestabili di commercio e import parallelo, nell’offrire ai consumatori il vero risparmio, rivelano asimmetrie abissali.

Commercio e importazione parallela, come funzionano

Gli importatori paralleli sono coloro che acquistano prodotti IDM (Industria di Marca) nei Paesi extra-UE, ove i costi sono sensibilmente inferiori. Una pratica antica quanto la notorietà internazionale dei grandi marchi, nel settore alimentare come in vari altri (soprattutto in quelli ad alto valore aggiunto, es. moda e profumi). Gli acquisti sono eseguiti in Paesi come l’ex Yugoslavia (Serbia, Bosnia, FYROM), Moldavia, Turchia, Egitto e Libano, ma anche in Russia.

Il commercio parallelo segue la stessa logica ma non contempla operazioni doganali poiché le operazioni di compravendita hanno luogo nel Mercato interno dell’Unione europea. In tal caso i ‘top brands’ vengono spesso acquistati nelle Repubbliche baltiche (es. Lituania), piuttosto che in Germania o Danimarca, Bulgaria e Romania, Repubbliche Ceca e Slovacca, Grecia.

Cash is king. L’efficacia delle operazioni di import e commercio parallelo è strettamente legata alla lealtà degli scambi, che si basa su relazioni dirette e pagamenti istantanei. La fiducia e il risparmio si costruiscono con i fatti, si paga in anticipo (20% all’ordine, 80% al ritiro) e si vende con pagamento a vista. In una logica diametralmente opposta alle pratiche commerciali sleali che solo ora l’Europa si è finalmente decisa a bandire, dopo decenni di sofferenze della filiera di produzione agroalimentare.

Import e commercio parallelo, i vantaggi per la GDO e i consumatori

Grazie al commercio parallelo, la grande distribuzione organizzata (GDO) in Italia può conseguire risparmi strepitosi. Da un minimo del 20-25% su marchi come Milka e Nutella, il 30% o più sulla Coca-Cola, oltre il 50% su Ferrero Rocher ‘Made in South Africa’, fino al 70-75% e più su Mon Cheri, Pocket Coffee e varie caramelle.

Il distributore in Italia risparmia almeno 4-5.000 euro a ‘pedana’ (sulle barrette Kinder, a esempio. Una pedana, o pallet, ospita dai 7 mila alle 15 mila unità di vendita), fino a 300 mila euro su ogni camion (nel caso delle Tic-Tac ‘Made in Poland’, ad esempio. Un camion ‘full truck’, c.d. bilico, ospita 33 pedane).

Per il consumatore, i prodotti che provengono dal commercio parallelo possono costare fino al 50% in meno, senza dover rinunciare né alla qualità né tantomeno alla freschezza. (1) Il commercio parallelo rappresenta dunque un vantaggio per tutti, soprattutto per il consumatore finale che si ostina ad acquistare questo tipo di prodotti in tempi di crisi come quello attuale.

Il ‘patto sociale’ tra distribuzione e consumatori si realizza mediante garanzia del risparmio significativo e dell’effettiva rispondenza dei prodotti alle aspettative. L’identità tra i prodotti distribuiti mediante commercio o import parallelo e quelli direttamente immessi da Big Food sul mercato nazionale viene infatti verificata mediante raffronto delle etichette, esame fisico e organolettico, analisi di laboratorio. (3)

Catena del valore, il ruolo dei ConsumAttori

Il commercio parallelo ci aiuta a capire come la politica dei prezzi sia gonfiata irragionevolmente, in Italia, rispetto ad altri Paesi europei. Questo fenomeno può venire attribuito, almeno in alcuni casi, all’inefficienza delle reti commerciali italiane di Big Food. Ma il dato più significativo attiene al valore intrinseco dei prodotti in questione. Se le identiche merci sono vendute a prezzi straordinariamente più bassi (-80% al consumatore finale in altri Paesi), chi e cosa sta pagando il consumatore italiano?

È ora che il consumAttore assuma il controllo della filiera e la vera consapevolezza della c.d. ‘catena del valore’, grazie a iniziative come la #MarcadelConsumatore, #ChièilPadrone, a breve anche in Italia grazie all’omonima associazione no profit.

Dario Dongo

Note

(1) Il concetto di ‘qualità’, su prodotti come quelli citati, va inteso nel senso di omologazione e standardizzazione. Vale a dire che le merci realizzate in modo da garantire il sistematico rispetto dei requisiti fissati nelle schede tecniche. A prescindere da ogni valutazione sull’insostenibilità di materie prime come l’olio di palma o sulle caratteristiche nutrizionali dei cibi

(2) La qualità nutrizionale delle citate linee di alimenti è invero deplorevole, trattandosi in prevalenza di cibo-spazzatura (in gergo tecnico HFSS, ‘High in Fats, Sugar and Sodium’). Ma fino a quando l’Italia non introdurrà politiche di educazione nutrizionale e di prevenzione delle malattie legate a un’alimentazione scorretta tali prodotti continueranno a raccogliere un ampio consenso. E i profili nutrizionali del junk-food non verranno migliorati, fino a quando non verranno introdotte misure serie come il NutriScore (informazione nutrizionale di sintesi con codici cromatici) e la ‘Sugar Tax

(3) Viene così affrontato e mantenuto sotto controllo il rischio di eventuali difformità qualitative ‘in peius’, che i Paesi del blocco di Visegrad hanno denunciato a Bruxelles. La Commissione europea ha quindi attivato un’apposito sistema di monitoraggio pubblico sul fenomeno ‘Dual Quality Foods’. Si veda l’articolo https://www.greatitalianfoodtrade.it/consum-attori/dual-quality-foods-juncker-alza-la-voce

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