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L’impatto della app Yuka sui consumi alimentari in Italia. Il rapporto

I fondatori di Yuka pubblicano il primo rapporto sull’impatto dell’applicazione sui consumi alimentari degli italiani. Il risultato sembra centrare l’obiettivo: i consumatori stanno lasciando sullo scaffale gli alimenti con ricetta poco equilibrata o contenenti additivi problematici.

Due anni di crescita

La app nata in Francia nel 2017, oggi è diffusa in 12 paesi e conta 33 milioni di iscritti. Come abbiamo ampiamente spiegato in precedenti articoli, l’uso di Yuka sullo smartphone permette di scoprire con la scansione del codice a barre il profilo nutrizionale dell’alimento o la composizione (Inci) di un cosmetico.

Nei paesi in cui è attiva, Yuka conta 3 milioni di scansioni al giorno. In Italia, dove è sbarcata a settembre 2020, cresce velocemente. Finora è stata scaricata sul telefono da 3 milioni di consumatori.

Il rapporto di Yuka

Il rapporto appena pubblicato valuta l’uso di Yuka riferito da 13.842 utenti italiani.

Il campione intervistato è così caratterizzato:

  • per l’86% usa Yuka da almeno due mesi,
  • è composto da donne per il 66% e uomini per il restante 34%,
  • il 57% usa la app ogni volta che fa la spesa,
  • il 48% scansiona prevalentemente prodotti alimentari, il 5% quasi solo cosmetici, il 47% entrambe le categorie,
  • è prevalentemente nella fascia di età 45-64 (57%), meno spesso (15%) in quella 35-44. Ancor meno tra i più giovani (il 5% ha meno di 25 anni, il 10% è nella fascia 25-34) e tra i più grandi (13% tra gli over 65).

Semplice ed efficace

L’aspetto rivoluzionario di Yuka è nella semplicità d’uso e nella affidabilità delle valutazioni, basate sul NutriScore, sulla certificazione bio e sulla presenza di additivi, commentati con riferimenti bibliografici. Il fatto che sia gratuita ovviamente mette il turbo.

Per questo, nonostante le critiche e i tentativi di metterla a tacere – in Francia con i processi e in Italia anche con un procedimento dell’Antitrust – Yuka continua a raccogliere consensi.

L’impatto sul carrello della spesa

Gli intervistati ne spiegano bene il successo:

  • il 97% ha smesso di acquistare alcuni prodotti, il 96% a causa della presenza di additivi problematici (senza Yuka difficilmente riconoscibili),
  • il 95% ripone sullo scaffale il prodotto giudicato negativamente,
  • l’84% acquista più prodotti biologici (premiati dal sistema di valutazione Yuka con un punteggio supplementare di 10 punti).

Gli effetti sull’alimentazione

Conoscere le ricette degli alimenti confezionati aiuta a migliorare la dieta in casa. Gli utenti intervistati affermano di

  • comprare meno e meglio, vale a dire prodotti di elevata qualità nutrizionale (90%),
  • cucinare di più (53%),
  • usare Yuka per educare i figli (81%).

E l’industria non può stare a guardare

Il potere dei consumatori è evidente nell’orientare le scelte dell’industria. Si pensi all’olio di palma, pressoché sparito dalla scena quando i prodotti che lo contenevano sono rimasti sullo scaffale.

Il 90% degli utenti di Yuka credono che la app possa motivare marchi e aziende a proporre prodotti migliori. L’83% è anche convinto che questo sistema sia più efficace nel condizionare le imprese rispetto alle autorità (una convinzione forse esagerata). E ritengono l’uso di Yuka potrebbe aiutare l’evoluzione normativa sulle sostanze autorizzate negli alimenti.

La rivincita di Yuka

Costretti dall’Antitrust a fare dichiarazioni sulla relatività delle valutazioni Yuka dei prodotti alimentari, i fondatori della fortunata app si dichiarano soddisfatti dall’esito del rapporto.

I risultati di questo studio hanno confermato l’impatto del progetto sulle abitudini d’acquisto e sulla salute dei consumatori, ma anche sulla società. Quindi, non ci fermeremo qui, ma continueremo a diffondere Yuka su larga scala. Abbiamo infatti previsto di concentrare tutte le nostre energie sullo sviluppo dell’app in altri Paesi, come l’Italia, la Spagna, gli Stati Uniti e il Canada. 

Aspiriamo ad approfondire ulteriormente le informazioni che forniamo ai consumatori e ad estendere le nostre analisi riguardanti l’impatto ambientale dei prodotti. L’impresa è ardua, ma siamo certi che potremo contribuire a cambiare le cose’. 

Marta Strinati

Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".

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