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Vitamina D, prove scientifiche sul ruolo anti Covid-19. Ma il SSN blocca le prescrizioni

La vitamina D può effettivamente proteggere da Covid-19, grazie al suo ruolo immunomodulatore e agli effetti antivirali. Le prove scientifiche vengono analizzate in un lavoro a firma di Giancarlo Isaia e Enzo Medico, presidente dell’Accademia di medicina di Torino il primo ed entrambi professori all’Università di Torino. I quali, già a marzo, dopo la dichiarazione della pandemia, avevano associato l’ipovitaminosi D al nuovo coronavirus. (1)

L’intuizione dei ricercatori di Torino

I due professori di Torino – come a suo tempo abbiamo riferito – avevano segnalato una correlazione tra il nuovo coronavirus e la carenza di vitamina D (livelli sierici <20 ng/ml). Ma come spesso capita ai pionieri, la loro idea era stata respinta dalle istituzioni con arroganza immotivata. ISS e ministero della Salute avevano addirittura liquidato l’intuizione dei ricercatori come una fake news.

L’Istituto Superiore di Sanità ha poi rivisto la propria posizione, riaffermando il proprio ruolo di autorità scientifica indipendente. L’ISS ha perciò condiviso la tesi secondo cui adeguati apporti di vitamina D risultino utili sia nella prevenzione delle malattie respiratorie acute, sia nel trattamento  due sintomi tipici di Covid-19 (perdita dell’olfatto e del gusto).

Ministero della Salute, fedele alla linea (del risparmio apparente)

Il ministero della Salute, invece, è rimasto fedele alla linea. Nell’elenco delle fake news sul Covid-19 ancora figura l’avvertenza n. 39:

‘La vitamina D protegge dall’infezione da nuovo coronavirus. FALSO. Non ci sono attualmente evidenze scientifiche che la vitamina D giochi un ruolo nella protezione dall’infezione da nuovo coronavirus’.

La linea del ministero – comunicata da Agenzia italiana del farmaco (AIFA) – ha un solo presupposto certo. La recente decisione di vietare la prescrizione della vitamina D in ambito del Sistema sanitario nazionale, all’insegna del risparmio a tutti i costi. Un risparmio solo apparente, nell’era della medicina preventiva a cui l’intera comunità scientifica – non anche la pubblica amministrazione – dichiara di anelare.

Dalla fine del 2019 – proprio mentre Covid-19 iniziava a propagarsi – è scattato per i medici di famiglia il divieto di prescrivere farmaci di integrazione di vitamina D in mancanza di patologie manifeste. La mera carenza (livelli sierici inferiori a 20 ng/ml) non è dunque sufficiente per la prescrizione. Servono invece sintomi quali astenia, mialgie, dolori diffusi o localizzati, frequenti cadute immotivate. Bisogna quindi attendere le fratture e i traumi (con conseguenti ricoveri, interventi chirurgici, degenze e terapie, possibili invalidità e decessi nei pazienti più anziani), per risparmiare sulle vitamine?

Proprio così, la prevenzione e la scienza hanno ceduto il posto alle esigenze di cassa e le opinioni di comodo. In un sistema sanitario che risponde a una logica ‘economistica’ e non è stato infatti capace di affrontare il pur prevedibile ‘cigno grigio’ Covid-19, come si è già annotato.

La Regione Lazio – guidata dal segretario nazionale di un partito al governo, già noto alle cronache per i 16 ospedali chiusi nella seconda regione più popolosa d’Italia – ha offerto prova di questo approccio da ‘economato’. In un provvedimento che recita, letteralmente:

‘I costi esorbitanti della prescrizione della vitamina D (colecalciferolo) sono derivati, verosimilmente, da una erronea valutazione dei livelli di normalità della vitamina sierica e da una incongrua valutazione di tale DATO in soggetti non a rischio’. (2)

Vitamina D e Covid-19, gli studi scientifici

Il lavoro di Isaia e Medico richiama una serie di studi – pubblicati su riviste scientifiche internazionali e soggetti a peer review – che assumono rilievo per affrontare la minaccia coronavirus. Diversi studi osservano la correlazione tra livelli sierici deficitari di vitamina D e vulnerabilità al coronavirus. Annotando l’elevata probabilità di una correlazione inversa, sis pure in attesa di una dimostrazione del nesso eziologico (relazione causa-effetto).

La letteratura scientifica è peraltro solida su alcune virtù della vitamina D che hanno chiara attinenza con la prevenzione delle virosi e il trattamento di alcuni sintomi caratteristici, tra l’altro, di Covid-19. Si riferisce alla capacità di rafforzare il sistema immunitario e alle proprietà antivirali, nonché ai possibili ruoli nella mitigazione della polmonite e dell’iperinfiammazione.

La vitamina D, in particolare, ha dimostrato:
– un ruolo protettivo per molte malattie infettive. Infezioni dei tratti respiratorio, enterico e urinario. Vaginosi, sepsi, sindrome influenzale, dengue, epatite,

– efficacia nel supportare l’immunità innata e contrastare tutti i fattori di potenziale rilevanza per polmonite acuta e iperinfiammazione, già osservati in pazienti COVID-19,

– protezione nei pazienti con malattie infiammatorie intestinali, le quali causano un malassorbimento di vitamina D. La somministrazione di vitamina D3 (500 U / die) ha ridotto di due terzi l’incidenza di infezioni respiratorie in pazienti con livelli sierici inferiori a 20 ng / ml. Nella stessa coorte, una concentrazione sierica superiore a 38 ng / ml è stata associata alla riduzione del 50% del rischio di infezione respiratoria.
Una metanalisi che ha coinvolto 25 studi interventistici randomizzati e oltre 11.000 pazienti ha inoltre mostrato come l’integrazione di vitamina D riduca di due terzi l’incidenza di infezioni respiratorie acute in pazienti con livelli sierici inferiori a 16 ng / ml.

Prove precliniche (su animali) dimostrano infine un effetto protettivo della vitamina D (calcitriolo) sul danno polmonare acuto e sugli effetti – devastanti per le strutture polmonari –  di una carenza cronica della stessa vitamina.

L’appello ai decisori politici

Alla luce della letteratura scientifica richiamata, nel sostenere l’opportunità di approfondire la ricerca, gli Autori invitano i decisori politici a mettere in sicurezza la popolazione.

‘Riteniamo che i governi di tutti i Paesi, soprattutto dove, come in Italia, vi è un’alta prevalenza di insufficienza o carenza di vitamina D, debbano promuovere campagne di salute pubblica per aumentare il consumo di alimenti ricchi di vitamina D e promuovere un’adeguata esposizione alla luce solare o, quando ciò non è possibile, un’integrazione farmaceutica adeguatamente controllata.

In linea con questo approccio, recentemente la British Dietetic Association e il governo scozzese hanno pubblicato alcune raccomandazioni per garantire, in particolare in questo periodo critico, livelli normali di vitamina D nella popolazione generale’.

In allegato, il testo dell’editoriale dei due ricercatori con la bibliografia degli studi citati.

Marta Strinati e Dario Dongo

Note
(1) Giancarlo Isaia, Enzo Medico. Associations between hypovitaminosis D and COVID-19: a narrative review , in pubblicazione ad agosto 2020 sulla rivista internazionale Aging in Clinical and Experimental Research. ALLEGATO
(2) Vedi Determinazione Regione Lazio 28.1.2020 n. G00683

Marta Strinati

Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".

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