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Legumi, una ricchezza trascurata

La produzione di legumi in Italia riprende a crescere, e tuttavia subisce la concorrenza estera ‘low-cost


La coltivazione di leguminose in Italia,  drasticamente diminuita a partire dagli anni ‘60, torna a crescere. In particolare per ceci e lenticchie. La ripresa è tuttavia minacciata dalla concorrenza estera ‘low-cost’, che continua a dominare il mercato nazionale.

La dipendenza dai legumi esteri non giova alla conservazione dei suoli italiani. Le leguminose – fagioli, lenticchie, ceci,piselli, fave – rappresentano invero una preziosa risorsa per il territorio agricolo. Poiché le colture proteiche, seminate in rotazione con cereali come il frumento, arricchiscono naturalmente i terreni.

Legumi, inversione di tendenza in Italia

La produzione nazionale di ceci e lenticchie sta riportando l’Italia a un ruolo di protagonista. Ottava in Europa, con circa 200.000 tonnellate di prodotto, nella produzione complessiva di legumi secchi. Ciò è quanto emerge dal rapporto sui legumi e le colture proteiche – nei mercati mondiale, europeo e italiano – presentato a Bologna, il 5.10.18, dall’istituto di ricerca Areté, su incarico dell’Alleanza Cooperative Agroalimentari.

Nel 2017 i circa 100.000 ettari coltivati nel Bel Paese (+35%) hanno prodotto 190.000 tonnellate (+37%) di legumi. Particolarmente spiccato è l’incremento delle colture di ceci (+72%, seconde in Europa solo alla Spagna), lenticchie (+60%, quinta produzione europea) e piselli (+52%).

Il valore dei legumi in campo

La produzione di legumi secchi in Italia ha subito un drastico calo, nell’ultimo mezzo secolo. Dalle 640.000 tonnellate di un tempo alle 135.000 tonnellate del 2010, si è registrata una contrazione dell’81%. A cui è conseguito, inevitabilmente, l’impoverimento dei suoli agricoli.

Le leguminose cedono infatti azoto ai suoli ove esse sono coltivate. Tale caratteristica è valsa a definirle come colture ‘miglioratrici’, poiché appunto in grado di migliorare la produttività dei terreni agricoli. In rotazione con i cereali (frumento tenero e duro, orzo, farro, segale), riducono l’impiego degli agrotossici. (1)

La concorrenza estera ‘low-cost

A dispetto della ripresa delle coltivazioni autoctone, il mercato italiano dei legumi continua a dipendere dall’estero in misura significativa. Nel 2016, il nostro Paese ha importato il 65% dei legumi utilizzati per il consumo diretto e ulteriori lavorazioni. Quasi il doppio rispetto alla media europea, attestata sul 33%. 

Il prezzo dei legumi stranieri è senza dubbio competitivo. La loro produzione su larga scala ha costi drasticamente inferiori, nonostante i territori siano meno vocati a tali colture. Al punto che l’essiccazione, nei climi freddi (Canada e Asia Centrale), viene realizzata ricorrendo alla chimica anziché alla natura.

L’assenza di notizie sull’origine in etichetta ha a sua volta un ruolo decisivo nelle inconsapevoli scelte dei consumatori. I quali sarebbero sicuramente propensi a privilegiare l’acquisto di alimenti Made in Italy (a maggior ragione in quanto si tratta di commodities, proteine vegetali a buon prezzo). Ma il regolamento ‘Origine Pianeta Terra ha di fatto escluso – o comunque vanificato, con diciture del tutto generiche (‘UE/non-UE’) – l’obbligo di indicare la provenienza dell’ingrediente primario. (2)

I consumatori ignari continueranno perciò ad acquistare in prevalenza legumi essiccati con agrotossici in Paesi lontani. Fino a quando non verranno messi nella condizione di poter eseguire scelte davvero consapevoli, grazie alla doverosa indicazione in etichetta dell’origine delle materie prime. Come i cittadini europei infatti chiedono, nell’iniziativa popolareEat ORIGINal! Unmask your food’, che Great Italian Food Trade sostiene senza riserve.

Marta Strinati e Dario Dongo 

Note

(1) Cfr. ‘Leguminose minori (cece, lenticchia, cicerchia, fava)’, monografia a cura di Massimo Zaccardelli e altri, 2009, su https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/e%252F1%252F7%252FD.070973f9d78d99d49494/P/BLOB%3AID%3D9712/E/pdf

(2) Cfr. reg. UE 2018/775

Marta Strinati

Giornalista professionista dal gennaio 1995, ha lavorato per quotidiani (Il Messaggero, Paese Sera, La Stampa) e periodici (NumeroUno, Il Salvagente). Autrice di inchieste giornalistiche sul food, ha pubblicato il volume "Leggere le etichette per sapere cosa mangiamo".

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