Denominazione dell’alimento, in etichetta la chiave per scegliere bene
Come scegliere un alimento rispetto ai tanti altri presenti a scaffale? Il marchio è il primo elemento di richiamo per la gran parte dei consumatori, che ripongono fiducia nell’industria di marca, o nella catena della grande distribuzione. Eppure, un’attenta lettura dell’etichetta può favorire scelte consapevoli di acquisto. Vediamo come fare.
La denominazione dell’alimento è la prima informazione obbligatoria in etichetta, quella che ci permette di conoscere la natura del prodotto. Non va confusa con il marchio, o il nome commerciale, che ha il solo valore di identificare e distinguere il singolo articolo di un produttore o un distributore rispetto ad altri.
‘La denominazione dell’alimento è la sua denominazione legale. In mancanza di questa, la denominazione dell’alimento è la sua denominazione usuale; ove non esista o non sia utilizzata una denominazione usuale, è fornita una denominazione descrittiva.’
(Reg. UE 1169/11, articolo 17)
La denominazione legale è prevista per la gran parte degli alimenti di base. Come ad esempio latticini, uova, prodotti di salumeria, pasta e semola, riso, pane e farine, panettone e altri dolci caratteristici. E ancora, oli di oliva, conserve di pomodoro, succhi e nettari di frutta, acqua minerale naturale, alcune bevande analcoliche, marmellate e confetture, vini e bevande spiritose, etc. È invece carente in altri cibi essenziali, come le carni e i prodotti a base di carne, ora anche i prodotti ‘ready-to-eat’ destinati a vegetariani e vegani.
Il ricorso a una denominazione legale garantisce al consumatore la corrispondenza del prodotto con i requisiti qualitativi di composizione e/o preparazione definiti dal legislatore europeo o da quello nazionale. Nei casi di indicazioni geografiche registrate – es. DOP, IGP, STG – l’impiego del nome caratteristico è vincolato al rispetto di un disciplinare più o meno rigoroso, a seconda delle situazioni. Altrettanto dicasi per i prodotti agroalimentari tradizionali di cui in apposito elenco periodicamente aggiornato dal Ministero dell’Agricoltura. (1)
La denominazione usuale è quella cui ci si riferisce, in assenza di un’apposita disciplina, per gli alimenti tradizionalmente noti al consumatore medio. (2) Gli esempi sono innumerevoli, basta guardare all’area ‘cibi e bevande’ del nostro sito per scorgerne decine. Dal pane carasau ai taralli, le orecchiette o gli agnolotti. La mortadella e il Tiramisù, a ciascuno il suo.
La denominazione descrittiva risulta invece necessaria quando manchino riferimenti normativi o consuetudinari. In tali casi, l’alimento deve venire descritto con precisione, affinché i consumAttori possano intendere con facilità la natura del prodotto. Occhi sempre aperti, e attenzione alla lista degli ingredienti!
Dario Dongo
Note
(1) Cfr. D.M. 14.7.17, ‘aggiornamento dell’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, ai sensi dell’articolo 12, comma 1, della legge 12 dicembre 2016, n. 238’, in G.U. 176 del 29.7.17
(2) Con attenzione alla significatività e comprensibilità del nome nell’area geografica ove il prodotto è venduto. V. http://www.ilfattoalimentare.it/etichetta-parmigiano-reggiano.html
Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.