Tiger, il gigante danese dell’oggettistica di design, propone nei suoi negozi anche snack di vario genere. Ne abbiamo vagliato la qualità. L’esito è sconfortante: etichette fuorilegge e olio di palma dappertutto.
Tiger: sostenibilità negli arredi ma non nel cibo
I Tiger Stores, sorti a Copenhagen nel 1995, sono oggi 745, in 30 Paesi. In tutta Europa oltreché in USA, Corea e Giappone. Ogni mese propongono 300 nuovi articoli – in aggiunta agli 800 di base, a rotazione stagionale – realizzati da circa 600 fornitori. In prevalenza cinesi, con un tocco di design scandinavo. Oggetti per la casa e svariati gadget tra giochi, hobby, colorate cianfrusaglie, alimenti e bibite. Globalizzazione e low cost. Vendite e ROI (0) in crescita del 20% nel 2016.
La Corporate Social Responsibility di The Flying Tiger Copenhagen è descritta in un rapporto 2016 di ben 120 pagine, 71 delle quali sono dedicate agli aspetti finanziari. (1) La sostenibilità degli approvvigionamenti – (2) l’area più critica su filiere così estese – si basa su un Codice di condotta per i fornitori. (3) In linea con gli standard definiti da ILO (International Labour Organization) e con le politiche di gruppo sul lavoro minorile, domestico, e sul benessere animale. L’applicazione del Codice è condizione per la qualifica dei fornitori ed è soggetta a verifiche tramite audit da parte di enti di certificazione locali. (4) L’attenzione verso la sostenibilità ambientale si è invece focalizzata sui negozi e il loro arredamento, in vista della certificazione FSC (Forest Stewardship Council).
Etichette illegali e olio di palma ovunque
Gli alimenti venduti da Tiger sfuggono però alla legalità, oltreché agli impegni dichiarati sulla CSR. Si rilevano due aree di doveroso miglioramento:
– le etichette di diversi prodotti alimentari venduti da Tiger in Italia non sono conformi alle regole europee in vigore. (5) Il rispetto della legislazione, come è noto, costituisce il pre-requisito della responsabilità sociale d’impresa. E Tiger è responsabile della corretta informazione ai consumatori su alimenti venduti a proprio marchio. (6) Ma gli adesivi mal ritagliati e apposti su vari prodotti non evidenziano – come invece doveroso – gli ingredienti allergenici. Altre etichette riportano liste sconfusionate e traduzioni approssimative degli ingredienti, del tutto prive di significato per i consumatori e perciò fuorilegge, (7)
– la quasi totalità di snack, prodotti dolciari e da forno contiene olio di palma. Un grasso scadente, certo in linea con il low cost – high profit ma non altrettanto con le politiche dichiarate in tema di approvvigionamenti sostenibili. (8) Non a caso anche i Paesi scandinavi – dopo Italia, Francia e Spagna – hanno iniziato a prendere distanza rispetto al palma. Poiché la sua produzione è causa primaria di land grabbing (rapina delle terre) e deforestazioni, denunciate dallo stesso Parlamento europeo. Oltre alla schiavitù minorile documentata da Amnesty International. (9)
Per non tacere dello scarso pregio nutrizionale. E ai noti pericoli per la salute che riguardano il palma e i cibi HFSS più in generale.
Che attendersi dunque dalla tigre danese? Meno greenwashing, più responsabilità!
Note
(0) Return On Investment
(1) Il rapporto 2016 sulla CSR di Tiger, su https://corporate.flyingtiger.com/annual_reports/annual_report_2016.pdf
(2) Sustainable sourcing, pagine 29 e 30 del rapporto di cui in nota 1
(3) www.corporate.yingtiger.com/csr
(4) Sono riferiti 225 audit nel 2016, comprese le ispezioni ripetute in caso di non-conformità. Che hanno riguardato le condizioni di sicurezza e salute, orari di lavoro eccessivi, retribuzioni inadeguate
(5) Regolamento UE 1169/11
(6) Reg. UE 1169/11, articolo 8
(7) Il pessimo olio di palmisto idrogenato, ad esempio, viene citato come ‘grasso vegetale di cuore di palma completamente solidificato’ (?) nelle liste ingredienti di Gem Biscuits e Choco Bar Caramel. Le ‘pastiglie con edulcorante’ Läkerol, prive di denominazione di vendita nella versione ‘lamponi e citronella’, neppure specificano la natura degli oli vegetali impiegati in quelle ‘eucalipto’ e ‘salmiak’
(8) Non appare perciò un caso che, in 120 pagine di rapporto sulla CSR, neppure una riga sia stata dedicata alla sostenibilità degli alimenti venduti da Tiger. Sebbene questi costituiscano parte integrante e neppur marginale del business
(9) Addirittura i ‘biscotti danesi al burro’ – con buona pace della tradizione e delle legittime aspettative dei consumatori – contengono sia grasso di palma, sia olio di colza in quantità superiori al burro. (!) Il buon nome dei taralli italiani è altresì profanato con prodotti ‘Tarallini snack – Crunchy Italians’ ove il palma figura al secondo posto in elenco ingredienti.

Dario Dongo, avvocato e giornalista, PhD in diritto alimentare internazionale, fondatore di WIISE (FARE - GIFT – Food Times) ed Égalité.